di Maurizio Cinelli
Un tratto di strada che dalle pendici del Monte San Vicino si porta sul crinale tra la valle dell’Esino e la valle del Musone; un tratto breve, di pochi chilometri, che collega, però, edifici sacri e luoghi di grande suggestione paesaggistica: l’Abbazia di San Salvatore, al centro dell’incavo della Valdicastro, sovrastata dalla mole del San Vicino, Domo, affacciata sullo spartiacque tra le due valli e, più sotto, l’Abbazia di Sant’Urbano; a traguardare la valle del Musone, infine, Apiro, alto sul colle di fronte.
Il 17 di maggio, in una luminosa mattina di quasi estate, il gruppo dei partecipanti si è ritrovato in Valdicastro, l’Abbazia di San Salvatore come prima meta.
L’Abbazia, fondata nei primi anni del 1000, sorge nel luogo in cui il frate benedettino Romualdo degli Onesti, il futuro San Romualdo (v. box n. 1) si ritirò e fondò l’eremo che poi avrebbe dato vita all’Abbazia.
Quest’ultima acquisì presto grande autorità e prestigio, che mantenne sino alla metà del 1400. Della costruzione originaria in stile romanico, risalente alla seconda metà del 1200, rimangono, però, soltanto la cripta coperta con volte a botte e due capitelli del chiostro; la parte prevalente della costruzione che possiamo ammirare oggi, e che l’iscrizione leggibile all’interno della chiesa attribuisce al Maestro Tebaldo, è di stile gotico, con tre campate e tre absidi. Gli affreschi che parzialmente si conservano sulle pareti della chiesa risalgono al periodo compreso tra il 1200 e il 1400, e raffigurano, oltre, ovviamente, San Romualdo, i santi Cristoforo e Giovanni Battista. Meritevole di particolare segnalazione è l’altare, che riutilizza sarcofago romano del III secolo, nel quale è stato racchiuso il corpo di San Romualdo dal 1027, anno della sua morte, fino al 1481, quando la salma è stata traslata nella chiesa di San Biagio in Fabriano, dove ancora oggi si trova.
Il paese medievale di Domo, seconda tappa dell’escursione, in ariosa posizione panoramica, si è fatto apprezzare dai partecipanti, oltre che per le vestigia del castello e dei relativi contrafforti, per la chiesa parrocchiale dedicata a San Paterniano (v. box n. 2).
La chiesa, costruita verso la fine del 1200 e profondamente trasformate nel 1400, conserva un portale che reca la data del 1473, di netta impronta rinascimentale, e stemmi dell’Ordine camaldolese e di Papa Nicolò V, nonché affreschi della stessa epoca, raffiguranti numerosi santi a figura intera. L’opera più pregevole che si conserva all’interno è però un trittico attribuito al “Maestro di Domo” (secondo alcuni, identificabile con il “Maestro di Staffolo”) che, con modalità che evocano lo stile di Gentile da Fabriano, rappresenta la Madonna di Loreto con, ai due lati, rispettivamente, San Paterniano e Santa Lucia.
Prima del pranzo conviviale presso la contigua Country House, il programma è proseguito con la visita dell’Abbazia di Sant’Urbano.
Detta abbazia, risalente ad epoca addirittura anteriore di qualche decennio all’anno 1000, già appartenuta ai benedettini, poi ai camaldolesi ed ora di proprietà privata (Comune di Apiro), nel tempo ha rappresentato un formidabile centro di potere politico e religioso che la portò ad avere alle sue dipendenze numerose chiese ed alcuni dei vari castelli dei dintorni, fino a quando, a partire dal 1400, non iniziò la sua decadenza. L’ambiente che oggi si conserva, nonostante che sia spoglio, mantiene intatta una grande suggestione.
Ultima tappa, Apiro, ad una manciata di chilometri dall’Abbazia, città che incuriosisce già per l’incerta etimologia della sua denominazione (v. box n. 3), ma sopratutto stupisce per la qualità e la mole dei tesori d’arte che raccoglie. Già nel Palazzo dei Priori, che si affaccia sulla piazza intitolata a Giacomo Baldini (medico personale di tre Papi e benefattore della città), oggi sede del Comune, fa mostra di sé, nella sala consiliare, un inatteso e splendido per fattura e conservazione polittico di Allegretto Nuzi, raffigurante la Madonna con Bambino e santi. Ma è nella Collegiata di Sant’Urbano, voluta, commissionata e sovvenzionata dal Baldini all’inizio del 1600, che, gelosamente custoditi, si trovano i tesori maggiori: dal bellissimo coro all’elegante cappella del Santissimo Sacramento con i loro legni magistralmente intagliati; dall’organo Callido alla stupefacente raccolta di arredi e dipinti di artisti insigni tra i quali spiccano Giuseppe Ribera e Valentine de Boulogne.
L’attraversamento, prima del congedo, del centro storico, raccolto con i suoi palazzi nobiliari e le varie chiese all’interno di mura risalenti al 1200, in gran parte conservate, ha rappresentato la degna chiusura di una apprezzatissima giornata di cultura e di svago.
APPROFONDIMENTI
Etimologia di Apiro di Maurizio Cinelli