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UN ITINERARIO NELLA CITTÀ DI SENIGALLIA

a cura di Maurizio Cinelli

Favorita da uno splendido anticipo di primavera, si è svolta, come da programma, la visita di Senigallia.

Il gruppo dei partecipanti, particolarmente folto (ben 40 presenze), è stato accolto nel salone del palazzo municipale dal Sindaco della Città, dott. Maurizio Mangialardi, dal quale  i presenti sono stati gratificati con calorose parole di  benvenuto, ma anche con una sintetica, quanto autorevole e illuminante, “presentazione” dello stato attuale  di Senigallia, con i suoi progetti di sviluppo, le recenti realizzazioni, i perduranti problemi economici e sociali.

Subito dopo hanno avuto inizio le visite dei monumenti, previste per la mattina: Chiesa della Croce,  Foro annonario, Rocca dei Della Rovere. Guida d’eccezione,  Carlo Pongetti , professore di geografia nell’Università di Macerata, infaticabile, quanto affascinante “narratore”: il resoconto  della sua preziosa “narrazione”, dovuto alla sua stessa penna, segue le presenti righe, e ad esso, dunque, non può che farsi rinvio.

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Rocca Roveresca

Dopo il pranzo presso lo storico ristorante “da Bice”, il programma è proseguito presso il  Museo d’arte moderna, dell’informazione e della fotografia, alla  cui visita i partecipanti sono stati guidati dal direttore stesso del Museo, il  prof. Emanuele Bugatti. I presenti hanno così potuto ammirare, tra le altre opere,  anche quelle di un artista al quale il Museo ha riservato un posto di assoluto rilievo: le fotografie di Mario Giacomelli, senigalliese, uno dei massimi esponenti dell’arte fotografica italiana; di lui si parla nella scheda che segue, composta, con la ben nota competenza e maestria, da Alberto Pellegrino.

Una visita di Senigallia  “non convenzionale”, come la presente,  non avrebbe potuto adeguatamente chiudersi senza la visita di un’altra “gloria” della Città: il Museo di storia dell’agricoltura, intitolato nel 2004 a Sergio Anselmi, che ne è stato l’ideatore (altra gloria cittadina, e non solo); un Museo che ha il pregio aggiuntivo di trovarsi in un’ala del Convento sito fuori città, in località “le Grazie”, che rappresenta anch’esso un “lascito” della famiglia dei Della Rovere. Di tutto ciò si parla, con dovizia di particolari, nella scheda di Edoardo Biondi, cui, dunque, anche in tal caso faccio rinvio. (Maurizio Cinelli)

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Parole e segni dello spazio e del tempo

di Carlo Pongetti

“Quando arrivo in una città, salgo sempre sul più alto campanile, o sulla torre più alta, per avere una veduta d’insieme, prima di vedere le singole parti; e nel lasciarla faccio la stessa cosa, per fissare le mie idee”. Così annota il barone Charles-Louis de Secondat, meglio noto come Montesquieu, nel suo diario di viaggio in Italia. Non sappiamo se a tale proponimento si sia attenuto nel transitare per Senigallia vendendo da Ancona e diretto a Bologna nei primi di luglio del 1729. Nell’eventualità, non ci riferisce il punto d’osservazione prescelto. Certamente ebbe una buona impressione della città che giudica ben fortificata dai duchi d’Urbino e alquanto dinamica per i traffici mercantili favoriti dalla presenza del porto canale. Molti altri viaggiatori prima e dopo di lui sostarono in questo centro famoso per la fiera franca dandone giudizi più o meno favorevoli, più o meno severi. Ad attenersi casualmente al metodo di approccio alla città adottato dal filosofo francese fu invece Giosuè Carducci. Inviato dal Ministro della pubblica istruzione per una visita ispettiva al Regio Liceo G. Perticari nel 1876, fu ospite presso la villa dell’allora sindaco conte Francesco Marzi, sita in posizione panoramica nella frazione di Sant’Angelo e da lì poté ben osservare Senigallia che gli apparve sì bella a specchio dell’Adriaco mare, come ebbe a definirla l’anno dopo nel “Canto dell’Amore”.

Scegliere un punto di vista privilegiato è senz’altro un suggerimento utile e funzionale per iniziare una visita organica di questa come di altre città. Nel caso di Senigallia di certo non si può salire su un campanile, quale potrebbe essere quello del Duomo, o sulla civica torre con l’orologio del palazzo municipale, ambedue inaccessibili, ma una visione d’insieme si può cogliere dall’ampia terrazza soprastante ai torrioni della rocca roveresca. Quello spazio consente di percorrere un intero giro d’orizzonte sulla città e i suoi primi quartieri: apre la vista dal fronte marittimo alle prime colline dell’entroterra. Per di più la rocca di Senigallia è il principale archivio delle vicende storiche della città che, di origini antichissime, si sviluppa su un sito originariamente lagunare, perimetrato dalle anse del fiume Misa e dal mare, in cui nel Neolitico si insediò la prima comunità. Il territorio ha restituito testimonianze protovillanoviane e di popolazioni liburniche che precedettero i primi abitatori italici: umbri e soprattutto piceni. Sicuramente fu l’avamposto di un gruppo di Galli capitanati da Brenno. La tradizione vuole che questo condottiero abbia fondato la città, Sena, nel IV secolo a. C. e che si sia stabilita una relazione nominale tra la città e il gruppo fondatore il quale avrebbe assunto la denominazione di Sènoni. Appartengono invece alla storia le guerre che i Sènoni mossero a Roma arrivando a saccheggiarla nel 390 a. C. e a tenerla sotto minaccia per quasi un secolo, fino a quando i Romani non prevalsero nella Battaglia del Sentino nel 295 a. C. aprendosi così la strada verso Sena Gallica che divenne la prima colonia romana sull’Adriatico. Proprio la stratificazione della Rocca dà una testimonianza di quel passato: varcato l’ingresso, nel muro di fronte si vedono i resti di una antica torre romana costruita per contrastare gli attacchi dal mare. I conci sono inglobati in una successiva guarnigione Albornoziana a sua volta aggregata nella rocca caposaldo della rifortificazione urbana voluta a metà Quattrocento da Sigismondo Pandolfo Malatesta, anch’essa poi rimodellata a partire dal 1480 nell’attuale complesso roveresco. Questa genesi composita fa della rocca il monumento più eloquente della storia cittadina che, trascorsi i secoli della dominazione romana, vide Senigallia essere inclusa nella Pentapoli marittima bizantina ma il nuovo status non impedì l’infiltrazione dei longobardi fino a quando non furono sconfitti dai Franchi. Nella transizione al secondo millennio la città, favorita dalla posizione litoranea, si configurò quale nodo di traffici commerciali in accordo con Venezia e nel XII secolo assurse a libero comune, inizialmente nell’orbita ghibellina, poi parte di una coalizione guelfa debellata da Manfredi. Per Senigallia si aprì un lungo periodo di crisi che indusse Dante a parlarne nel XVI canto del Paradiso come di una città morente. La rinascita avvenne per volontà di Sigismondo Pandolfo Malatesta che la ebbe in Vicariato e provvide a rimodellarla secondo una pianta quadrangolare e a favorirne il popolamento. Periodo fervido ma di pochi anni: pendenze del Vicario con la Santa Sede ricondussero la città sotto il diretto controllo del Papa finché Sisto IV, nel 1474, ne affidò il vicariato al nipote Giovanni della Rovere.

La Rocca è il fulcro della Senigallia roveresca: dall’alto dei suoi torrioni si gode la migliore veduta della piazza antistante su cui prospetta il Palazzo del Duca che occupa il lato lungo e dunque fronteggia la rocca. Desta curiosità il portale dell’ingresso principale, marcato da due semicolonne a bugne smussate, collocato in posizione eccentrica rispetto alla facciata e chiara spia della lunga genesi costruttiva dell’edificio. Voluto da Guidubaldo II come residenza temporanea è coevo alla realizzazione del perimetro pentagonale cinquecentesco della città. Oggi è sede dell’Assessorato alla Cultura che occupa il piano nobile in cui merita di essere vista la Sala del trono, preziosa nel soffitto a cassettoni che, in 49 lacunari lignei (decorati con buona probabilità da Taddeo Zuccari nel periodo 1553-1555) ostende le scene dell’allegria proprie di ogni festa e, in particolare, del carnevale, quando anche un putto può appropriarsi della corona ducale.

Anche l’elegante fontana sita nella piazza del Duca è in posizione decentrata. Di forma ottagonale incuriosisce per essere ornata da animali molto diversi: quattro anatre e quattro leoni, le prime collocate su mensole a pelo d’acqua all’interno della vasca; i leoni posti simmetricamente sul perimetro esterno in posizione avanzata rispetto ai due gradini su cui si eleva la vasca con al centro l’alzata, costituita da quattro mascheroni che reggono il bacile sommitale. Realizzata in marmo rosso di Verona tra il 1599 e il 1602 dal tagliapietre veneto Mastro Stefano di Tommaso, in origine presentava solo le quattro anatre di bronzo a ricordare la bonifica della zona suburbana delle “saline” condotta dai Della Rovere. Nel secondo Ottocento la fontana venne restaurata e la circostanza parve propizia per sostituire le anatre con i leoni, ritenuti meglio rappresentativi di forza e nobiltà. Con l’ultimo intervento di recupero, attuato nel 1992 si è provveduto a un recupero integrale della sua singolare vicenda storica, rimettendo al loro posto le anatre ma mantenendo pure i leoni secondo l’attuale soluzione.

Sul lato breve della piazza, a sinistra di chi guarda il palazzo del Duca, subito alle spalle dell’attuale sede della Banca delle Marche sorgeva la casa di Bernardino Quartari da Parma. Lì, nel breve periodo in cui Cesare Borgia si impossessò della città avvenne la “strage di Senigallia”. Era il 31 dicembre 1502: il duca Valentino convocati con un “magnifico inganno” i suoi condottieri Oliverotto Uffreducci da Fermo e Vitellozzo Vitelli da Città di Castello che avevano tramato contro di lui, attuò il suo piano facendoli trucidare.

Al lato opposto della Piazza del Duca si erge il raffinato prospetto del palazzetto Baviera, legato alla figura di Giacomo Giovanni Baviera, acquisito zio materno di Giovanni della Rovere che precedette il nipote per prendere possesso di Senigallia in suo nome. Nel secondo Cinquecento la famiglia proprietaria diede incarico allo scultore urbinate Federico Brandani di ornare i soffitti del piano nobile. L’artista nel 1560 provvide a realizzare un progetto decorativo organico, cesellando sontuosi stucchi ispirati alla storia sacra, ai poemi omerici e alla storia antica.

Dall’angolo del Palazzetto Baviera si diparte via Arsilli che ricalca l’antico cardo della città romana. Percorsa per brevissimo tratto consente di deviare per via dei Commercianti che conduce alla sinagoga (al civico n. 20) e a piazza Simoncelli, già occupata dall’antico ghetto della fiorente comunità israelitica, radicata a Senigallia fin dal XV secolo in relazione alle attività della fiera franca. Via dei Commercianti raggiunge il Corso 2 Giugno nel punto in cui si apre Piazza Roma, la piazza del Comune, su cui domina la mole del palazzo municipale con la sua torre civica in posizione asimmetrica rispetto all’intero complesso. Nelle sue fattezze si riconosce l’impronta dell’architetto urbinate Muzio Oddi: i lavori presero avvio nel 1611 e si protrassero per decenni. La facciata è scandita da tre archi maggiori che si intercalano a due minori sormontati da aperture riquadrate, elementi tutti ingentiliti dalla pietra d’Istria. Nell’arco minore di destra per chi osserva il palazzo è collocata la fontana del Nettuno, denominata in dialetto ‘l monc’ in piazza: la statua del dio del mare è infatti priva di braccia e ancora si discute se sia un reperto d’epoca romana oppure opera della scuola del Giambologna. Lo stesso Muzio Oddi, pochi anni prima (1604-1608), fu impegnato nell’ampliamento della chiesa della Croce che con la sua facciata fa da sfondo a via Fagnani, ben visibile distogliendo lo sguardo dalla fontana del Nettuno e volgendolo a destra. È questa la terza chiesa eretta dalla confraternita della Croce e Sacramento con grande impiego di mezzi e straordinario risultato. Il fedele, come il visitatore, è salutato dal motto agostiniano inciso sulla trabeazione del portale d’ingresso: erigis te et fugit a te / humilias te et venit ad te (Se ti esalti (il Signore) fugge da te / se vivi in umiltà, viene a te). Dovendo assolvere alle funzioni proprie di un oratorio l’interno si presenta come un’ampia sala, interamente coperta alle pareti da fregi dorati. Il fondale con l’altare maggiore costituisce un vero apparato scenografico, degno castone per la meravigliosa pala raffigurante la Traslazione di Cristo al sepolcro, opera di Federico Barocci, tema ultimo di una trilogia del maestro urbinate che ne diede i precedenti nella Crocifissione, conservata nel palazzo ducale di Urbino e nella Deposizione dalla croce nel Duomo di Perugia. Merita un cenno anche il primo altare a sinistra dedicato a santa Barbara patrona degli artiglieri, sicché nella parte soprastante presenta due colonne a forma di fusti di cannone. La tela raffigurante la santa è opera di Claudio Ridolfi. Il soffitto della Chiesa è lavorato a cassettoni, con diciotto lacunari ripartiti in due specchiature da una fascia centrale con i simboli della Croce e dell’Eucarestia. Sopra la porta di entrata è posta la cantoria con al centro un organo Callido del 1775, ottimamente restaurato e utilizzato nelle funzioni religiose e per qualche concerto nei mesi estivi.

Se invece da piazza Roma si oltrepassa l’arco centrale del palazzo comunale ci si trova di fronte alla casa natale di papa Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti che qui nacque il 13 maggio 1792. Al piano nobile è ospitato un museo che oltre alle memorie piane mostra la struttura e gli arredi propri di un palazzo nobiliare. Un assoluto stupore coglie il visitatore nell’entrare nell’ampio salone di rappresentanza interamente ricoperto alle pareti da quadri e da panche lignee addossate ai muri parimenti dipinte. I quadri sono disposti proporzionalmente su ogni parete: i quattro principali misurano all’incirca m 2,60 per 3,30. Agli angoli singolari figure di sibille. Il tema del ciclo decorativo è anche in questo caso sospeso tra storia sacra e profana. Autore dei dipinti è il pittore senigalliese Giovanni Anastasi che si è firmato autoritraendosi sul muro della parete dell’ingresso nell’atto di terminare il lavoro e chiudere la porta.

Palazzo Mastai è quasi a metà della via intitolata a Giovanni Maria Mastai Ferretti, al civico 14. Poco discosto, al numero civico 24, era la sede della Tipografia Marchigiana gestita, assieme ai suoi collaboratori, da Mario Giacomelli il fotografo di fama mondiale che ha reso illustre la città. Imboccare una delle strade perpendicolari a via Mastai consente di spingersi verso la parte urbana sette-ottocentesca, quella realizzata con la seconda ampliazione della città e concepita secondo criteri illuministici, sia nella forma, sia nell’attribuzione delle funzioni. Alla seconda strada parallela a via Mastai si è su via Pisacane: chi volesse percorrerla potrà notare, dalla parte della numerazione civica dispari (in specie dal numero 23 al 55) l’aggetto a scarpa della parte bassa degli edifici. La spiegazione è fornita dalla lapide posta a fianco del civico 29, in cui si legge: “Rappresentano queste mura la cortina occidentale del pentagono roveresco, sistema fortificatorio iniziato a difesa della città da Guidobaldo Della Rovere Duca d’Urbino, l’anno 1546”.

Sulla stessa via, al civico 84, è la sede del Museo dell’Informazione, istituito nel 1981 per documentare il rapporto tra parola e immagine. Ospita importanti collezioni di opere grafiche contemporanee, sculture, cataloghi e fotografie del “Gruppo Misa”. Di fronte al museo l’imponente mole del Teatro “La Fenice”, costruito nel 1996 sul posto occupato dai precedenti edifici teatrali ottocentesche e che, nei lavori di costruzione, ha rivelato essere un importante sito archeologico.

La lettura della porzione cittadina sette-ottocentesca organizzata attorno a piazza Garibaldi (o del Duomo) va condotta congiuntamente a quella del lungofiume bordato dai portici Ercolani, cui la piazza si raccorda attraverso il quadriportico della “filanda”, così come deve essere posta in relazione all’altro elemento di testata dei portici stessi: il Foro Annonario.

Una visita a Senigallia che non indugi sul frequentato lungomare (con la nota Rotonda a mare costruita nel 1933), non può che concludersi nell’immediato suburbio, ossia in località “Le Grazie” dove sorge un altro importante monumento roveresco: il Convento fatto costruire da Giovanni della Rovere per sciogliere il voto alla Madonna avendo egli ottenuto la desiderata discendenza maschile. Alla nascita dell’erede, Francesco Maria I, il giorno dell’Annunciazione del 1490, segue l’incarico a Baccio Pontelli di progettare il cenobio poi affidato ai francescani. Un complesso architettonico pregno di storia e di arte come ben si comprende entrando nel chiostro maggiore o nella chiesa. Nell’abside di quest’ultima domina una Madonna in trono col Bambino e Santi opera del Perugino mentre ormai da un secolo il più noto quadro custodito nella chiesa, La Madonna di Senigallia di Piero della Francesca si trova nella Galleria Nazionale delle Marche presso il Palazzo ducale di Urbino. Dal 1978 in un’ala del Convento ha trovato sistemazione il Museo di Storia della Mezzadria intitolato nel 2004 a Sergio Anselmi che ne fu l’ideatore.

Le ampliazioni della città

Kaspar Goethe, padre di Wolfgang, è viaggiatore in Italia nel 1740. Nel passare per Senigallia registra: “Cotesta città, in considerazione della fiera rinomata, è fuor di ciò non mica bella, se non al di fuori nel prospetto, a misura che non potei immaginarmi, ove dunque si fa la detta così famosa fiera; giacché la piazza è piccola e le strade strette ed oscure”. In effetti a quel tempo il tessuto urbano era ancora racchiuso entro la cinta muraria pentagonale realizzata dal duca Guidubaldo II a metà Cinquecento. Sono proprio le necessità della fiera franca e l’incremento demografico a spingere la magistratura cittadina a chiedere di “provvedere alla strettezza delle abitazioni ampliando l’angusto recinto delle mura” un soluzione urbanistica che papa Benedetto XIV concede nel 1746 dando incarico a monsignor Giuseppe Ercolani di presentare un piano delle opere necessarie. È questa la prima ampliazione della città. L’intervento comporta il taglio delle mura in prossimità del ponte sul Misa e la realizzazione di un raccordo col quartiere del Porto, posto sulla sponda sinistra del fiume, con un nuovo asse viario al cui termine viene eretta la porta Lambertina in onore del pontefice. Sulla sponda destra, nei due sensi rispetto al punto di abbattimento delle mura si impostano alcuni loggiati con mezzanino per il miglior uso da parte dei mercanti in tempo di fiera: sono i Portici Ercolani, inizialmente tre in tutto, costruiti con candida pietra d’Istria.

La prima ampliazione si risolve in un eccezionale abbellimento della città ma non suffraga appieno l’esigenza di spazi per l’attività fieristica e per il flusso di mercanti e acquirenti, flusso che vede presente in città 40-50.000 persone, per periodi più o meno lunghi dell’anno. Sulla base di questa constatazione papa Lambertini autorizza, sul finire dell’anno 1757, la seconda e più incisiva ampliazione di Senigallia. Si tratta di un intervento profondo, che impone di rettificare un’ansa del fiume Misa e di conquistare all’edificazione un’ampia zona prativa.

Ancora un viaggiatore, Pierre Jean Grosley, si trova a passare per Senigallia nel 1758 ed è testimone privilegiato del frenetico lavorìo delle maestranze impegnate nella costruzione di nuovi baluardi, fortificati come gli antichi “che erano assai solidamente costruiti a giudicare dal lavoro per demolirli”. Ma a conquistarlo è la vitalità della fiera: “i palazzi, le case, l’intera città è un magazzino: il porto, le banchine, le strade formano un negozio continuo nel mezzo del quale scorrono mille piccoli negozi ambulanti”.

Con la seconda ampliazione si allunga la teoria dei portici e nella conquistata parte di città si insedia il Duomo e il nuovo episcopio, dato che la prima ampliazione aveva comportato la demolizione di questi edifici posti vicino alle vecchie mura. La piazza del Duomo nei primi decenni dell’Ottocento non è ancora ben raccordata con il lungo fiume. Vi provvede l’architetto senigalliese Pietro Ghinelli che progetta il Palazzo Micciarelli (meglio noto come “la filanda”). Impreziosito da un aereo quadriportico l’edifico media il passaggio dai portici all’ampio spazio aperto della piazza che accoglie servizi di rango elevato (Palazzo delle Dogane; Curia vescovile; Ginnasio Pio). Allo stesso Ghinelli si deve il disegno dell’altro elemento di testata dei Portici Ercolani: il Foro Annonario, concepito con un corpo centrale da cui dipartono due larghi emicicli, il tutto scandito da 24 colonne. È questo il fulcro del commercio al dettaglio, pregevole per armonia delle forme e funzionalità che, come ebbe a scrivere un illustre contemporaneo, Giuseppe Mamiani, “offre per la sua figura, il maggior comodo all’espansione delle merci, perché fa scorgere attorno alla sua curva in un solo girar d’occhi, tuttoché si desidera e di acquistare e di vendere”.

La Rocca Roveresca

Il più importante monumento di Senigallia, la rocca roveresca, è frutto di una complessa stratificazione e ha acquisito le forme attuali grazie agli interventi di illustri architetti attivi a Urbino quali Luciano Laurana, progettista dell’appartamento residenziale e del ponte levatoio, e Baccio Pontelli succeduto al Laurana. Di pianta quadrangolare è munita agli angoli da quattro possenti torrioni cilindrici solo apparentemente uguali. Allo stato attuale la rocca si presenta in parte interrata, come dimostra la posizione di alcune troniere proprio al pari del prato. In antico invece veniva mantenuto un fossato pieno d’acqua tutto attorno. All’esterno come all’interno si notano i motti incisi nelle architravi ora di finestre, ora di porte e che recitano IO DUX – IO PRE a ricordare i titoli di Duca di Sora e Prefetto di Roma goduti dal committente dell’edificio: Giovanni della Rovere. Una visita all’interno consente di cogliere la trasformazione avvenuta nel Seicento quando, a seguito della devoluzione del Ducato di Urbino alla Santa Sede (1631) divenne sede della guarnigione di artiglieria e prigione. Rimangono altresì le forme armoniche della parte residenziale ingentilita da soffitti a volta e da fregi alle porte e alle finestre. Riconoscibili i locali di servizio con forno, neviera, pozzo, depositi e una elegante scala elicoidale che collega i piani alti ai sotterranei.

Infine è importante ricordare che, pur tanto curata quale presidio militare la Rocca di Senigallia non venne mai utilizzata dai Duchi come rifugio per scampare a sommosse o sopportare assedi e ciò sta a significare che i Della Rovere diedero alla città il buon governo.

APPROFONDIMENTI

Mario Giacomelli di Alberto Pellegrino

La “Sepoltura di Cristo” di Federico Barocci nella Chiesa di Santa Croce a Senigallia di Grazia Calegari

Il Foro Annonario di Stefano Santini

Il museo di storia della Mezzadria “Sergio Anselmi”di Edoardo Biondi

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