Presentazione della Contessa Adele Piergallini Santori
Il Palazzo Compagnoni Marefoschi è stato oggetto della mia tesi di laurea nell’anno accademico 1977/1978.
E’ un palazzo che amo e per il quale ho fatto tante ricerche ed una specifica pubblicazione. Sarà con le parole che allora adoperai che riproporrò in parte, la descrizione della facciata, dell’androne, dell’entrata dell’appartamento di Giuseppe Compagnoni Marefoschi (oggi studio di Umberto Santori Compagnoni Marefoschi), della cappella e della scala, avvalendomi anche della presentazione del compianto On. Roberto Massi Gentiloni Silverj e dell’introduzione di Franco Barbieri (già docente dell’istituto di storia dell’arte dell’Università di Macerata).
Parte della presentazione del libro “Palazzo Compagnoni Marefoschi di Macerata e Palazzo Rosso di Potenza Picena” dell’On. Roberto Massi Gentiloni Silverj: il recupero del Palazzo Compagnoni Marefoschi è merito del Nobile Umberto Santori Compagnoni Marefoschi che ha voluto e realizzato il restauro dimostrando grande attaccamento alla famiglia ed alla sua storia illustre…
“Il Palazzo di città deve corrispondere al livello economico della famiglia e deve essere un edificio idoneo ad ospitare qualunque personaggio illustre, persino il Sovrano…
Il Palazzo Marefoschi non si sottrasse a questa funzione soprattutto quando fu deciso di celebrarvi il matrimonio morganatico dell’ultimo degli Stuart, Carlo III d’Inghilterra con la giovane principessa Ludovica de Stolberg Guedern, nella speranza della nascita di un erede che non ci fu”…
Stralci dell’articolo introduttivo “Il Palazzo del Cardinale” del prof. Franco Barbieri allo studio sul “Palazzo Compagnoni Marefoschi di Macerata”.
Oggi, constato con soddisfazione il compimento della laboriosa quanto benemerita iniziativa; che si concretizza nella realizzazione, soprattutto importante, di una completa monografia sul cospicuo edificio: monografia dotata di esaustivi apparati documentari, utili alberi genealogici, eloquente corredo fotografico. E’ frutto della lunga appassionata fatica di Adele Piergallini Santori, laureata presso l’Ateneo Maceratese e, per parte di madre, una Zenaide diretta nipote di Camillo III Compagnoni Marefoschi, discendente di quell’antico ceppo nobiliare.
“Anzitutto, si premura la Piergallini di convenientemente illustrare le figure di quelli che saranno i committenti del palazzo: i tre figli di Giovanni Francesco Compagnoni i quali, nati dal matrimonio, nel 1713, con Maria Giulia Marefoschi, daranno vita al lungo cammino dei Compagnoni Marefoschi. Di essi, Camillo fu “violinista e compositore dilettante” ma anche interessato a “tutte le nuove scoperte nell’ambito scientifico e artistico”: inclinazioni comuni pure al fratello Giuseppe, tanto che i due arrivarono a costruirsi una sorta di “accademia musicale in casa”, largamente dotata di strumenti pregiati e di una collezione di moderni spartiti di primissimo ordine”. Spirito, tra i consanguinei, il “più estroso e vivace”, Giuseppe non esiterà ad aderire “alle idee illuministiche”: centro di diffusione proprio la concittadina “Accademia dei Catenati”, presso cui “particolarmente apprezzate erano le idee di Antonio Genovesi”…
Intanto, vantaggio delle altolocate e assidue frequentazioni romane, il Cardinale Marefoschi – ben lo sottolinea la Piergallini – “era venuto a conoscenza dei maggiori artisti del momento”, frequenti in una Roma allora, nell’avanzato Settecento, patria di elezione di tanta parte della più avanzata “intellighentia” europea: basti ricordare, la presenza, di protagonisti della levatura di un Winkelmann e di un Mengs, di un Maratta o di un Canova. Ma anche, nella scia di tutto un corollario di figure “minori” e pur sempre rappresentative, di un preciso clima culturale e di conseguenti tendenze espressive: tra questi Giovanni Stern…
Fu lo stesso Cardinale – a decidere di affidare appunto allo Stern un compito tanto analogo a quello da lui felicemente attuato nella suntuosa dimora chigiana. Quello, cioè, di ripetere a Macerata… la performance romana armonizzando tra loro, “le pitture, le decorazioni, il mobilio, le porte, le maniglie, l’orditura delle volte, il profilo delle finestre, le guarnizioni intagliate di legno dorato” (nell’ appartamento del terzo piano)…
Ci informa la Piergallini che Maria Giulia Marefoschi, facendosi pressante la “necessità positiva di ridurre interamente abitabile il palazzo vecchio”, esprime la volontà che “detta fabbrica tenda al maggior decoro nostro”, non solo di Giuseppe suo figliolo “ma anche proprio di tutta la di lei famiglia”; allo scopo, dà a Giuseppe ben 3000 scudi per iniziare i lavori. Assentono pienamente i fratelli Camillo e Mario; anzi, costui si mostra assiduo partecipe “inviando da Roma”, dove, si è visto, occupava rilevanti cariche ecclesiastiche, “quadri, statue” e perfino “reperti archeologici”: tanto che “spogliò la sua abitazione romana per nobilitare il suo nuovo palazzo in Macerata”.
“Giuseppe restaurò la parte del piano sopraelevato, verso mezzogiorno e verso la via principale, mentre Camillo aggiunse il secondo piano, dove si trova la parte notte”. I mezzanini di sottotetto “furono adoperati per la cucina e come reparto per la servitù.” Il terzo piano, quello “nobile”, apparirebbe “costruito tutto nuovo”: adibito “alla rappresentanza”, oltre al salone e a “una doppia fuga di salotti sia sul lato sud che su quello a nord”, comprende una cappella privata.
Il prof. Roberto Pane conferma:…” è certamente (del Vanvitelli) la cappella…malgrado che, fra i numerosi documenti, …nessuno parli di questa gemma preziosa, i cui particolari…ci riportano a quelli di altre opere (sue) romane e napoletane… Il particolare di maggior pregio , e cioè l’altare, ci ricorda gli esemplari di alcune chiese romane, come Sant’Agostino e Sant’Antonio dei Portoghesi: la grata di bronzo dorato, le zampe leonine, i festoni, la forma rastremata dell’altare di San Ciriaco e di numerosi altri. Il Cardinale Mario conosceva benissimo il Vanvitelli, operoso per quella “Congregazione di propaganda Fide” di cui egli fu anche segretario; e il Vanvitelli, a sua volta, aveva ben corrisposto alla fiducia del Marefoschi magistralmente, rifacendo proprio in Macerata, per interessamento di un prozio di Mario, Guarniero Marefoschi, l’interno della chiesa di Santa Maria della Misericordia: nella brevità dello spazio, uno dei suoi indiscussi, più geniali capolavori. Più tardi, allestiva, sempre il Vanvitelli – ormai è pacifico – la cappella gentilizia del palazzo. Insinuazione valida anche per palazzo Marefoschi?
D’altro canto, l’architetto Francesco Maria Ciaraffoni, sempre in piena, fedele ortodossia vanvitelliana, avrebbe, come suol dirsi, tutte le carte in regola per pensarlo magari, in assenza del Maestro, attivo a realizzare, sulla falsariga dei suoi insegnamenti, la grandiosa dimora dei Marefoschi.
Sezioni dei capitoli relativi al Palazzo Compagnoni Marefoschi di Macerata di Adele Piergallini.
Il palazzo Compagnoni Marefoschi attuale si presenta, con la sua mole longitudinale, sulla sinistra di chi viene dal Duomo, come un adattamento prospettico dei motivi architettonici alla situazione urbanistica della strada in salita.
Procedendo verso la piazza, la facciata acquista un suo verticalismo ben visibile,…
Infatti il pian terreno ha bassi finestroni quadrangolari, incorniciati da fasce di travertino liscio; … il primo piano ha finestre importanti. Esse sono in aggetto su mensole che reggono eleganti balconi a pianta ondulata con balaustre mosse, incorniciate da frontespizi a trabeazione diritta orizzontale, decisamente aggettati.
Il secondo piano ripete l’ordine classico delle finestre dei palazzi rinascimentali; …
Il terzo ordine di finestre ripete il primo a trabeazione orizzontale. La facciata presenta il suo motivo d’attrazione nella zona del portone, decentrato sul lato nord-ovest. Esso, è sopraelevato su tre gradini di travertino, di forma slanciata ad arco a tutto sesto, incorniciato da una ghiera a bugna liscia, angolata ai lati.
Il portone è incastonato in un complesso architettonico singolare costituito da due colonne doriche per lato, appoggiate a pilastri formati da paraste sovrapposte, pure di ordine dorico. Le colonne in travertino si levano in base modanata con alti plinti e ulteriore base che acuisce il carattere verticale.
Tra la coppia di colonne è incastonata una finestra-porta. Sopra l’abaco di ciascuna colonna si ha un pilastro scanalato con funzione di mensola; dal centro della ghiera del portone si leva un’ulteriore mensola che fa da base ad un altro pilastro più sporgente che sorregge il punto aggettante del balcone ondulato.
La balaustra, elegante nel suo movimento, crea interessanti effetti chiaroscurali di pieno e vuoto nel susseguirsi di pilastrini in corrispondenza delle colonne e dei balaustri.
Una cornice modanata sottolinea tutto il movimento. L’effetto pittoresco non è dovuto soltanto ai volumi delle colonne e alla visione prospettica della sovrapposizione delle paraste, ma anche al fregio neoclassico corrente sopra i sobri capitelli dorici.
La fascia è divisa da triglifi e metope la cui ornamentazione è data da motivi araldici alternati: la barra con tre palle e mezze lune contrapposte, propria dell’arma Compagnoni, cui segue un mascherone a testa di leone, animale che sormonta lo stemma gentilizio di famiglia.
A metà della ghiera del portone la testa del leone, ornamento della mensola centrale, mentre sul plinto che divide a mezzo la balaustra è il segno dell’aquila, motivo araldico degli Ottoni, capostipiti della famiglia. Sulla finestra-porta centrale del balcone si ripete il complesso stemma inquartato; in basso l’arma dei Marefoschi, a fianco lo stemma dei Massucci, a destra l’arme degli Ottoni con uno stemma; al centro l’insegna araldica alzata dai Compagnoni.
Colui che entra attraverso lo slanciato portone trova dinanzi a sé un androne con volta a botte; ma procedendo ed osservando con attenzione, scorge particolari che variano la severità dell’insieme. Il rito ornato degli stucchi sottolinea l’alternarsi degli archi semplici e binati con lacunari e rosone centrale di varia forma; in corrispondenza degli archi, abbiamo lesene semplici e binate con capitello ionico ad ovuli che sorreggono una trabeazione in aggetto, impreziosita da una cornice ricca di modanature.
L’effetto dominante, basato sul chiaroscuro, è accresciuto da cinque porte, tre sul lato destro e due sul lato sinistro, con stipiti di travertino , orli modanati, orecchiette barocche che sottolineano gli angoli.
Sovrasta ogni porta un timpano arrotondato, rotto, con al centro un nicchione, ornato di festoni da cui si affaccia un busto di donna o di uomo, secondo lo stile classicheggiante del Settecento.
Il portone sul fondo dell’androne, deve considerarsi come entrata ufficiale dell’abitazione di Giuseppe Compagnoni Marefoschi, appartamento che presenta all’entrata un’anticamera irregolare con volta a schifo affrescata dall’Alberti, pittore maceratese con un possente scorcio prospettico, alla maniera del Pozzo.
I dipinti a tempera delle pareti e della volta sono stati restaurati dal maestro d’arte Gianfranco Pasquali nel 1992.
La scala
La scala è di travertino bianco, larga, agevole; i pianerottoli tra una rampa e l’altra sono lunghi e attraggono con la presenza dei busti e dei particolari archeologici; i pianerottoli che immettono negli appartamenti sono più vasti e inondati di luce da tre finestroni.
Le porte in noce scura sono ornate da un arco spezzato con festoni con una nicchia e busto muliebre o busti neoclassici di Cesari in toga.
Ogni pianerottolo è compartito da eleganti lesene ioniche, da un arco a lacunari con rosoni a stucco; le parti divise dall’arco si articolano con volte a crociera, ornate di costoloni con stucchi a foggia di festone.
Nelle pareti scure sono situate due finte finestre
Entro ognuno di esse si apre una nicchia in cui è situato un busto di colore più scuro della parete, sì da produrre l’effetto della terracotta brunita.
L’ultima rampa, luminosissima, è una scala aperta con una balaustra illeggiadrita dalla presenza di una statua antica togata, con un puttino. La bella scala si conclude con una aerea loggia che scopre un ampio arco di orizzonte, dai Sibillini alla bella cupola di Santa Maria delle Vergini.
Le pareti del vano in cui gira la balaustra, sono affrescate in alto per simulare un’altana con loggia a finestra interna e con vetrata su cui si erge una volta a crociera. La volta quadrangolare, dipinta dall’Alberti, presenta, su di un cornicione monocromatico un aereo gioco di nubi: una decorazione prospettica illusionistica.
La stessa struttura, peraltro, presenta la torretta, luogo ideale per gli studi di astronomia di Camillo.
La Cappella
Per la preparazione dell’ambiente si riporta e si ripete la descrizione del prof. Pane. A proposito di Vanvitelli, presupposto architetto del palazzo, il Pane, negandone l’attribuzione, sostiene che, viceversa, la cappellina è certamente vanvitelliana… Il vano rettangolare, non maggiore di quello di una piccola sala, è coperto da due archi estremi e da una crociera centrale; a tale copertura fanno ricorso, lungo le pareti, eleganti lesene ioniche, con capitelli dorati. Le figure in monocromo, nei due sottarchi, sono eccellenti affreschi del Mancini che ha dipinto nella chiesa. Tuttavia un notevole ingombro è provocato da episodiche pitture ottocentesche, mentre è perduta la tela originaria legata all’altare e che doveva terminare ad arco in simmetria con la volta. Ma il particolare di maggior pregio e cioè l’altare, ci ricorda gli esemplari di alcune chiese romane…
La presentazione del Pane è efficace per quanto riguarda la struttura architettonica; l’attribuzione del Vanvitelli non si è in grado di confrontarla con documenti certi ma come sostiene il prof. Barbieri “ormai è pacifico” che la cappella gentilizia sia sua.
Non così può dirsi per le pitture in monocromo da lui attribuite al pittore vadese Francesco Mancini.
Nei documenti dell’archivio si ha notizia certa che i pittori pesaresi, nel 1775, avevano già dipinto oltre al salone grande anche la cappella. Risulta che sia stato pagato il pittore Paolucci per “vernice a olio a specchio”.
Circa le pitture definite dal Pane “ottocentesche”, possiamo affermare che esse erano già state eseguite nel 1775…
Si può concludere, quindi, che la decorazione della cappella era finita nel 1775, più tardi di circa un trentennio da quando il Mancini venne nelle Marche per dipingere la volta della Madonna della Misericordia per incarico di Guarniero Compagnoni Marefoschi.
La cappellina, nell’insieme, rappresenta il vero gioiello di Palazzo Compagnoni Marefoschi.