Le cento città

Luigi Fontana a Montefiore dell’Aso

di Marisa Callisti

Per il viaggiatore attento non può sfuggire l’arte che racconta il Piceno, lo sviluppo di storie collettive ed individuali che hanno inciso la sua immagine attuale. Parlarne con autonomia di scelta e libertà di taglio narrativo è indicare un percorso alla conoscenza, è capire l’oggi attraverso la sua storia. Delineando i vari momenti e le diverse sensibilità si vuole  suggerire un’immagine della terra Picena non scontata, ma viva e vitale. Sulla scena del 1700 e per tutto il 1800 le Marche non hanno un ruolo di protagonista, lacerazioni profonde scuotono la corte papale, i paesi piceni vivono una condizione periferica segnata da gravi problematiche economico-sociali,  questi riescono tuttavia a  realizzare momenti di indiscusso valore  artistico sia nell’edilizia pubblica – si veda per tutti la meraviglia dei nostri teatri presenti in tanti paesi della Marca – sia privata, conferendo un tono di elegante tenore all’atmosfera dei nostri paesi. Montefiore dell’Aso è un significativo esempio di nobile compostezza risultante dalla fusione di antichi impianti tardo medievali con elementi architettonici di secoli più recenti.

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Madonna della cintura tra S. Agostino e S. Monica. 1858, Tolentino, Basilica di san Nicola

L’artista Luigi Fontana  nato a Monte San Pietrangeli  (1827-1908) attivo a Roma sul finire degli anni settanta dell’Ottocento, in contemporanea ai cicli decorativi nella capitale, durante le stagioni estive,  lavorava in cantieri fuori Roma, avendo sottoscritto contratti che prevedevano per il loro compimento quattro o cinque anni. Con gli affreschi romani di San Damaso i cronisti dell’epoca celebrarono di Fontana la sua riconosciuta fama, l’eco dei festeggiamenti per la riapertura al culto della basilica romana e dei commenti che ne seguirono si diffuse rapidamente in tutte le Marche e molti ne parlarono. Leggendo l’Osservatore Romano e il tripudio degli affreschi in San Lorenzo in Damaso il patriziato fermano si congratulò con l’artista esprimendo il desiderio che davvero tutti ammirassero la forza del suo ingegno e della sua mano.

Appartengono a questo periodo le due tele dipinte a Roma, nello studio del Minardi, in cui Fontana era subentrato con la morte del maestro, probabilmente commissionate all’artista dall’arcivescovo e principe fermano Amilcare Malagola, che pervennero, verosimilmente sul finire degli anni settanta, alla Chiesa Collegiata di Montefiore dell’ Aso.  Nelle due opere di grandi dimensioni rappresentanti Santa Lucia tirata dai buoi e Santa Lucia sul rogo, di impianto architettonico misurato e classico, si riallacciano legami con gli schemi aulici delle decorazioni di San Lorenzo in Damaso. Un decennio più tardi vennero collocate le tele della volta raffiguranti due episodi della vita della martire: Santa Lucia conduce la madre cieca alla tomba di Sant’Agata e Santa Lucia distribuisce le ricchezze ai poveri, finanziati, come ricorda una lapide del 1901 affissa nella contro faccia di sinistra della chiesa, dai conti Ida e Pompeo Montani.. E’ una pittura smaltata, di un ingenuo domestico realismo, dove si intrecciano colloqui sommessi entro una spazialità accogliente, un nuovo modo di intendere l’insegnamento accademico che veniva trasformato alla luce di una costante attenzione al vero.

Una religiosità semplice e sentita pervade l’intera realizzazione mentre l’impianto pittorico dell’intero ciclo decorativo si armonizza con  tutti gli elementi ricorrenti del tardo stile neoclassico, quali stucchi, trabeazioni, timpani e colonne.

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