di Alberto Pellegrino
Nel buio del palcoscenico s’intravvedono delle ombre che sembrano uscire dalla notte dei tempi, poi una di loro emerge nella luce e comincia a danzare sulla scena inseguendo una musica che sente solo lei, poi altre nove figure inquadrate come soldati cominciano a marciare segnando ritmicamente il passo sono Le sorelle Macaluso che emergono dal profondo della memoria, dalle inquietudini della coscienza. Si tratta dell’ultimo spettacolo di Emma Dante, andato in scena alla dine di marzo a Macerata e ad Ascoli Piceno, al quale sono stati assegnati i Premi Ubu 2014 per la migliore regia e per il migliore spettacolo dell’anno. Regista e drammaturga, la cui fama ha ormai superato i confini nazionali, la Dante predilige un teatro dalle tinte forti e sanguigne, impiegando una lingua siciliana a volte ostica da seguire per raccontare storie terribili di famiglie travolte da omicidi e incesti, passioni inconfessabili e violenze sconvolgenti. Dopo Mpalermu, Cani di bancata, La pulle, Vita mia, Medea, tutti spettacoli segnati dal tema della morte, la registra palermitana porta sulla scena la storia di una famiglia matriarcale percorsa da sentimenti ancestrali analizzati a fondo dalla scrittura immaginifica dell’autrice che sa mescolare realtà e fantasia, vita e morte di questo piccolo popolo di donne sospese tra la terra e il cielo. E’ un dramma “per pupi” simbolicamente evocato da quattro scudi e quattro spade d’argento che le sorelle impugnano per un emblematico duello, mettendo a nudo foto e croci sepolcrali di famiglia. Ma si tratta anche di un dramma corale di parole e di suoni, segnato da una disperata e avvolgente gestualità. Le protagoniste sono le sette sorelle Gina, Cetty, Maria, Katia, Lia, Pinuccia e Antonella, impegnate a riesumare tra risa e pianti la loro vita, rievocando invidie e momenti felici, giochi e rimorsi, piccoli soprusi e gravi disgrazie che hanno segnato la loro esistenza. Il flusso dei ricordi inizia con la prima gita al mare delle sorelle che indossano colorati costumi da bagno e si abbandonano a giochi e scherzi in acqua, ma improvvisamente un’innocente gara d’apnea si trasforma in tragedia quando una di loro muore, perché un’altra l’ha tenuta troppo tempo con la testa sott’acqua per essere la vincitrice. E’ il primo lutto che segna la famiglia e provoca l’allontanamento della colpevole rinchiusa in un istituto correzionale. Dopo è tutto un riaffiorare di vicende familiari rievocate dai vivi e dai morti: l’apparizione del padre ancora giovane e vagamente erotomane che urla alle figlie ormai adulte la sua disperazione di uomo fallito per poi volteggiare avvinghiato alla moglie in una danza-amplesso senza fine; ecco Davidù, l’unico fratello maschio, che nutre ambizioni di grande calciatore (il suo modello era Maradona), ma che per un vizio cardiaco muore sulla scena in divisa sportiva mimando, come un disarticolato burattino, una lunga e convulsa agonia; seguono le storie delle altre donne. Il cerchio dello spettacolo infine si chiude come era iniziato: Maria, la sorella maggiore che ha sempre coltivato la passione per il ballo classico (da piccola la chiamavano Passi s’Angelo), realizza finalmente il suo sogno artistico irrealizzato, impegnandosi in un’ultima disperata danza fino a crollare esangue sul pavimento. A questo punto l’intero gruppo familiare riprende la sua marcia funebre senza tempo e senza storia, segnando la fine dello spettacolo.