di Gabriele Barucca
La splendida villa che ancora oggi porta il nome di Beniamino Gigli, suo munifico committente e primo proprietario, sorge sulla sommità del colle di Montarice, lungo il crinale che segna il confine tra i territori di Porto Recanati, Recanati e Loreto e da cui si gode una splendida vista sul mare Adriatico. Fu lo stesso tenore che al culmine della sua straordinaria carriera volle regalarsi questa sontuosa residenza principesca nei pressi di Recanati, sua città natale. All’inizio degli anni venti acquistò il terreno e affidò la progettazione dell’edificio dapprima all’architetto Guido Cirilli (Ancona 1871 – Venezia 1954), allievo di Giuseppe Sacconi. Contestualmente Beniamino Gigli delegò a seguire l’intera impresa il fratello Catervo, professore di Belle Arti, che fin da subito probabilmente intese ritagliarsi un ruolo attivo nella progettazione della villa.
Villa Gigli costruita nel 1920 per il grande tenore in stile tardo liberty
Questo atteggiamento causò ben presto un forte attrito col Cirilli, già affermato professionista, che decise così di lasciare l’incarico col seguito di una causa in tribunale. Nel 1923 subentrò come progettista il giovane architetto Florestano Di Fausto (Rocca Canterano, 1890 – Roma 1965) che pur tra mille difficoltà, dovute anche alle interferenze ‘creative’ di Catervo Gigli, riuscì a portare a termine l’ambiziosa impresa di
progettazione e realizzazione della monumentale villa, finalmente inaugurata nel 1927.
Intorno alla villa si estende un vastissimo parco, tra i più belli realizzati nelle Marche nella prima metà del Novecento. La parte principale dell’area verde è costituita da un giardino all’italiana, fatto di simmetrie e geometrie dove siepi perimetrali cingono gruppi ordinati di alberelli, palmette e sfere di bosso in topiaria. I lati settentrionale e meridionale del giardino all’italiana sono circondati da una fascia a bosco mentre il versante collinare verso nord prevede una zona di giardino all’inglese. Anche nei giardini domina dunque quel gusto di sapore storicistico che caratterizza la stessa villa. Questa pretenziosa costruzione fu concepita da Di Fausto in un melodrammatico stile neobarocco, non immune da un certo ostentato “stilismo”.
Il giovane architetto romano in questo impegnativo lavoro mostra di essere ancora legato all’ultima fase dell’Eclettismo architettonico, coniugando nel progetto elementi desunti da diversi stili storici in un incerto sincretismo tra Rinascimento, Barocco e Liberty. L’uso dei materiali e delle forme della tradizione architettonica antica viene esaltato dalla qualità esecutiva della realizzazione affidata a maestranze altamente qualificate provenienti dalla vicina Potenza Picena ed eredi di una secolare sapienza artigianale.
Alla sommità di una monumentale scalinata si staglia con voluto effetto scenografico la mossa facciata principale della villa. Il prospetto ostenta un fastigio ad altana coronato originariamente da quattro statue (ne sopravvivono solo tre), raffiguranti l’architettura, la scultura, la pittura e il canto, in ossequio al committente. Al cognome del celebre cantante rimandano invece i ripetuti disegni a gigli, che ricorrono nel pavimento a mosaico, negli elementi decorativi della villa e del giardino, quasi fossero figure araldiche parlanti allusive ad una sorta di nobiltà della sua origine, nella realtà molto umile.
Gli interni della villa, a pianta centrale, sono costituiti da circa sessanta ambienti distribuiti su due piani e nell’appartamento dell’attico, collegati da scaloni e ascensori. Si susseguono saloni, camere, sale destinate allo studio e alla musica, una cappellina al primo piano. Peraltro, nonostante la villa sia passata ad altra proprietà verso la metà degli anni sessanta del Novecento, tutti questi ambienti hanno conservato le decorazioni pittoriche parietali, i mobili e le suppellettili originarie volute da Beniamino Gigli.
Si tratta di un arredamento sontuoso costituito da preziose tappezzerie provenienti da manifatture parigine, da mobili realizzati dalla ditta Ducrot di Palermo, la stessa che fornì gli arredi di Montecitorio, da lampadari di Murano, da vetrate artistiche istoriate. Oggetti, sculture, arazzi, quadri del Sei e Settecento, nature morte con composizioni floreali del pittore napoletano Giuseppe De Curtis (1840 – dopo il 1916) completano la ricchissima decorazione dei vari ambienti. Questa ostentata profusione di decori e di lussuose suppellettili rivela una sorta di ispirazione e insieme di ideale competizione con l’arredamento che caratterizzava le dimore dei magnati americani, certamente frequentate da Beniamino Gigli nel corso del suo lungo e trionfale soggiorno newyorkese.
L’aspetto artisticamente più interessante di villa Gigli è però costituito da alcune importanti decorazioni murali che ne decorano alcune sale. Si va dalle immagini influenzate dal retaggio simbolista della grande sala del canto alla fascia che decora le pareti della tavernetta, ambiente del piano attico dove avvenivano riunioni conviviali durante l’inverno.
Questo fregio decorativo con scene raffiguranti il Lavoro dei campi si deve all’ideazione del marchigiano Adolfo De Carolis (Montefiore dell’Aso, 1874 – Roma, 1928), una delle personalità più affascinanti e complete nel panorama delle arti figurative e decorative a cavallo tra l’Otto e il Novecento, la cui fama deriva dall’esser stato l’illustratore di D’Annunzio e l’autore di impegnativi e celebrativi cicli pittorici, come la decorazione del Salone del Consiglio Provinciale di Ascoli Piceno (1907), della Sala dei Quattromila nel Palazzo del Podestà di Bologna (1911-1928), dell’Aula Magna dell’Università di Pisa (1916-1920), della facciata del Palazzetto Veneto a Ravenna (1921), della cappella di Giacomo Puccini a Torre del Lago (1926) e della Sala Consigliare del Palazzo Provinciale di Arezzo (1922-1924).
Proprio dagli stessi cartoni realizzati da Adolfo De Carolis per il ciclo aretino furono tratte le decorazioni del fregio che corre sulle pareti della tavernetta di villa Gigli. A dipingere queste pitture murali a tempera furono probabilmente Dante De Carolis e Diego Pettinelli, ma dietro le indicazioni dello stesso Adolfo, tra il 1927 e il ’28. Rispetto alla rigorosità del ciclo di Arezzo, le scene dipinte a villa Gigli sono però rese più frivole e piacevoli, forse anche in ragione della destinazione domestica e conviviale dell’ambiente decorato. Così gli abiti delle donne intente ai lavori dei campi sono arricchiti dai disegni di tessuti locali, che De Carolis ben conosceva, e vi sono inseriti cartigli con divertenti frasi in dialetto.
Riguardo a queste decorazioni, recenti ricerche documentarie condotte da Alessia Lenzi nel 1999 hanno fatto riemergere un fitto carteggio, che vede coinvolti l’architetto Di Fausto, progettista della villa, direttore dei lavori e regista della sua decorazione, il pittore Adolfo De Carolis e lo stesso Beniamino Gigli. In particolare in una lettera datata 23 aprile 1927 inviata da Di Fausto al vecchio De Carolis, che evidentemente gli aveva chiesto ragguagli sulle pitture che doveva eseguire, si registra il disappunto del progettista “obbligato a rifare il progetto degli interni per intonare le inquadrature architettoniche all’arredamento prescelto dal Comm. Gigli…”. La lettera si chiude poi con una irritata considerazione: “Non ho voluto prendere iniziative di sorta circa le possibili decorazioni, in quanto il committente mi pare non abbia una precisa idea della loro portata, e procede in ordini e contrordini senza tener conto delle necessarie esigenze di collegamento direttivo.”
Di poco precedenti a questa lettera di Florestano Di Fausto ad Adolfo De Carolis sono tre telegrammi, datati 11 e 17 aprile 1927 e inviati da New York, con i quali Gigli chiedeva al pittore il preventivo per l’esecuzione dei dipinti murali e fissava i tempi per terminarli. Infine una lettera di Gigli a De Carolis, inviata da Roma il 10 giugno 1927, così recita: “Caro Prof. de Carolis, le confermo quanto ebbi a dirle ieri a voce al suo appartamento, e cioè che per i pagamenti saranno fatti secondo le consuetudini da Lei suggeritemi. Soltanto Le faccio presente che nella parentesi (nel prossimo anno) non è ben specificata una data fissa per la consegna dei tre quadri. Sono sicuro che è sottointeso che detta consegna dovrebbe senz’altro avvenire prima del mio ritorno in Italia. Comunque sono a pregarla che a tal riguardo gradirei un suo cenno di conferma a Porto Recanati.”
Oltre alle decorazioni murali della tavernetta, sembra dunque che De Carolis avesse avuto da Gigli l’incarico di eseguire anche tre dipinti, che probabilmente non riuscì a terminare, visto che di lì a poco tempo morì a Roma il 7 febbraio 1928.
“ Dal Book Villa Gigli, per gentile concessione della famiglia Bartoloni”.