Acruto Vitali

La conchiglia, la morte, la libertà: la poesia di Acruto Vitali

di Alfredo Luzi

Acruto Vitali è giunto giovanilmente tardi ( a 69 anni ) alla pubblicazione di un volumetto Il tempo scorre altrove ( Scheiwiller, Milano 1972 ) che raccoglie composizioni dal 1919 al 1963.

Accanito lettore di Rimbaud, egli ha carpito all’ “enfant prodige” della letteratura francese il segreto di una ricerca concdotta sulle suggestioni della natura fino al lampo di un’illuminazione.

Nelle sue poesie l’atto lirico s’instaura come processo analogico che tende all’assoluto, come tensione della parola verso una valore simbolico autonomo, lontano dai legami della quotidiana psicologia umana. Vitali si serve di una tecnica raffinatissima, tutta accentrata sull’incastro e la dissolvenza di sensazioni attraverso il rincorrersi di metafore sin estetiche in cui predomina a livello visivo il topos temporale dell’alba ( con le sue connotazioni psicanalitiche di risveglio, ritorno alla vita, trionfo della luce ). Questa visività si realizza anche nel gioco oppositivo delle possibilità cromatiche che, innescato da una rappresentazione della realtà naturale, muta poi in simbologia morale.

Ad una analisi globale dell’opera di Vitali, s’avverte subito un timbro panico-orfico che ha sicuramente le sue fonti in d’Annunzio e in Campana. Dall’uno deriva una lettura costantemente lussuriosa della natura. Dall’altro nasce la tendenza al mitologema attraverso la configurazione di mondi esotici ed erotici, di viaggi pirateschi, di trionfi della follia.

Ma influenze letterarie, suggestione ispirativa e apparato simbolico si coagulano in due parole-chiave con valenza archetipica: il naufragio e la conchiglia. Per il primo basterà qui accennare al filone leopardiano-ungarettiano del viaggio poetico come ritorno alle origini, alla madre acqua, all’innocenza primordiale, che si rinnova nella frequenza sostantivale e aggettivale del termine.

L’archetipo della conchiglia può essere invece motivato da sollecitazioni culturali esterne, l’elemento equoreo, e/o da pulsioni interne del profondo psichico, nostalgia del femminino. E come non ricordare allora quanto ha scritto Mircea Eliade, grande esperto di miti e simbologie?

“ Le ostriche, le conchiglie marine, la chiocciola, la perla attengono sia alle cosmologie acquatiche sia al simbolismo sessuale. In effetti tutte fanno parte delle potenze sacre concentrate nelle acque, nella luna, nella donna; esse sono inoltre per varie ragioni degli emblemi di queste forze: c’è una rassomiglianza tra la conchiglia marina e gli organi genitali femminili, c’è un rapporto che lega le ostiche, le acque e la luna e c’è infine il simbolismo ginecologico ed embriologico della perla, formata nell’ostrica”.

Dopo Il tempo scorre altrove chi scrive ha curato nel 1992, a due anni dalla morte del poeta, un volumetto di testi inediti e rari dal titolo Fuggire sempre e sempre ritrovarsi (Stamperia dell’Arancio, Grottammare ).

Qui l’opposizione costitutiva dionisiaco/apollineo assume i caratteri di una contraddizione gnoseologica tra aspirazione alla felicità e riconoscimento etico della sofferenza.

La ribellione alla stasi, il rifiuto alla classificazione del reale nelle categorie kantiane del tempo e dello spazio, la proiezione utopica verso la dinamis, si configurano in Acruto attraverso il mito del flâneur baudelairiano, lungo in filone di maledettismo, un po’ dandy, che va fino a Rimbaud e su cui si innestano le suggestioni del nomadismo campani ano.

Il tema del viaggio è una costante di questa raccolta, come peraltro lo era per la prima. Il cammino si conclude con un approdo alla morte, una presenza dissimulata nell’impetuoso amor vitae de Il tempo scorre altrove ma che ora è incombente, continua, e segna di una profonda traccia tutta la testualità del volumetto.

In questa seconda raccolta trova conferma l’opzione per una poesia caratterizzata da una visività intensa e da una profonda sensibilità cromatica, in una sorta di connessione con l’esperienza pittorica che Vitali ha vissuto di pari passo con quella poetica. Il colore, mentre definisce la varietà del reale, fonde, nello stesso tempo, una modalità della luce con un significato morale, così come gli odori, i sapori, i rumori, contribuiscono a dare uno spessore plastico e talvolta icastico alla successione di immagini e alla catena di eventi.

La sensibilità musicale, che deriva ad Acruto dai suoi studi di lirica e da una carriera da tenore troppo presto abbandonata, s’avverte nella costruzione del verso, dove, su una grande capacità di ritmo, s’innesta una forma di armonia interna che gioca in contrappunto con la cadenza metrica.

Certo è difficile individuare nella esigua produzione di Acruto delle tematiche dichiaratamente sociali e civili, ma in questa raccolta affiora un tema nuovo, di forte valenza sociale e ideale: quello della libertà, individuato nella sue dimensione utopia in rapporto al paesaggio.

Alla libertà Acruto affida la sua personale ribellione ai vincoli della condizione umana, il suo inesausto desiderio di essere una cellula dell’universo, di restare vivo, chiuso in una conchiglia o trasformato in un filo d’erba, con l’aiuto della poesia.

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