di Marco Belogi
Premessa
Tutta l’Italia è punteggiata da tesori storici, artistici e paesistici.
Basta ricordare che ,con i suoi 49 siti riconosciuti dall’UNESCO nel 2013, è in testa alla classifica che misura il patrimonio culturale mondiale.
E’ probabile, scrive Sgarbi, che il tesoro d’Italia sia, più che altrove ,in una regione : le Marche.
Le Marche sono plurali, misteriose, sfuggenti, ma in questa terra c’è tutta l’arte italiana. Tutto ciò che la pittura italiana ha pensato e concepito si trova nelle Marche. Tutti lì non per caso, con storie e umane vicende commoventi, come la più straordinaria di tutte : quella di Lorenzo Lotto.
Spesso dietro questi artisti c’è un committente marchigiano, che ,a volte lontano dalla sua città, vuol comunque arricchire e ricordare con straordinari doni artistici la sua terra di origine.
E’ il caso del Domenichino, inviato nel 1618 da Guido Nolfi a Fano per dipingere scene della Vergine nella cappella di famiglia nel duomo di Fano.
D’allora la cappella Nolfi rappresenta uno di quei tanti tesori che punteggiano la nostra terra , un monumento di straordinario valore, e non solo per Fano, che, con le introduzioni delle novità bolognesi di impronta classicista, venne a presentare delle somiglianze con la stessa Roma dei primi del Seicento .
Già pochi anni dopo la conclusone del lavoro, durato oltre 15 anni, in occasione dell’anno giubilare del 1625 , l’editore romano Guglielmo Facciotti pubblicò una raccolta di poesie dedicata a questo mecenate fanese ,che raccolse la stima e l’ammirazione da ogni parte, per il suo impegno profuso nel dotare la città natale di un così nobile monumento. Sono componimenti encomiastici , per Guido e Domenichino , di autori del primo quarto di secolo più o meno noti, come Battista Marino, Francesco Bracciolini, Girolamo Moricucci , Fabio Chigi, poi Alessandro VII (1655-67), Giulio Rospigliosi ,poi Clemente IX (1667-69).
Gran parte dei viaggiatori europei fanno tappa a Fano per visitare questa cappella ,le cui stampe circolano negli ambienti più raffinati del continente. Visitano anche l’Angelo Custode del Guercino, opera sempre commissionata da un Nolfi, il figlio adottivo di Guido.
Guido Nolfi è, dunque, un giurista fanese da annoverarsi tra i tanti benefattori marchigiani che, dopo aver fatto fortuna altrove, mai si sono dimenticati della loro città natale.
Di recente ,in una delle visite della nostra associazione le cento città, abbiamo incontrato un altro insigne benefattore, Baldini, questa volta illustre medico sconosciuto a gran parte dei visitatori, che ha messo a disposizione la sua fortuna per edificare una chiesa collegiata nel suo piccolo paese natale, Apiro, sulle pendici del San Vicino ai confini della provincia anconetana, e dotarla di un ricchissimo apparato decorativo degno di una grande cattedrale.
Veri e propri capolavori, unici nel genere, accatastati nei locali della sacrestia e sapientemente illustrati dal professor Gabriele Barucca .
Nolfi e Baldini sono due illustri committenti marchigiani, tra loro strettamente legati dalla stessa passione per l’arte in generale , per il collezionismo e da una grande fede, che hanno voluto trasmettere ai loro concittadini, eredi di veri capolavori d’arte.
Nei rispettivi luoghi di origine portano il loro nome una via e una piazza, per il resto, dopo quasi cinque secoli dalla scomparsa, di loro si sa ben poco.
Guido Nolfi ( Fano 1554 – Roma 1627)
Guido Nolfi nasce a Fano nel 1554 da una nobile famiglia, di cui si hanno tracce nelle carte d’archivio fin dal 1200. E’ una di quelle famiglie venute dal contado ed entrate a far parte del consiglio cittadino quando le loro capacità e ricchezze si erano sempre più imposte e consolidate nel territorio . Molti di essi sono gonfalonieri, priori e canonici della cattedrale , allora considerato una specie di senato cittadino, in una città, come quella di Fano, che dopo la tirannia dei Malatesta ,aveva caparbiamente abbracciato la libertas ecclesiasica, vale a dire direttamente soggetta alla Santa Sede.
Ciò significava un governatore, che era sempre un giovane religioso agli inizi di carriera. Il novello prelato , che alcune volte riusciva a raggiungere anche il soglio pontificio, come avvenne per Pio IV ed Urbano VIII , governava la città per un solo anno. Tempo sufficiente però a conoscere la nobiltà locale ,che raccomandava ,a questo o quel governatore, i giovani più meritevoli per intraprendere una prestigiosa carriera in seno allo Stato Pontificio.
In quel tempo a Roma avevano raggiunto vertici di grandissima rilevanza tre personaggi fanesi: Ippolito Aldobrandini-papa Clemente VIII-(1536-1605);il cardinale Girolamo Rusticucci( 1537-1603); Galeotto Uffreducci, segretario particolare del Pontefice Paolo V, Camillo Borghese.
Bernardino Borgarucci, nobiluomo fanese vissuto per molti anni nella capitale , era solito ripetere che erano più utili alla città i fanesi che risiedevano a Roma di quelli rimasti a Fano .
Allora tutta la vita pubblica, dominata da una massiccia presenza di clero, era cristallizzata nelle mani della nobiltà che ,rigida nei propri privilegi e forte della propria autorità, continuava a difendere una classe dilaniata da discordie civili , disgregata dai difficili rapporti in seno al Consiglio Generale, dove comunque continuavano ad essere chiamati sempre gli spiriti più conservatori, strenui difensori dell’aristocrazia.
Antonio Negusanti, nella cui casa era nato papa Clemente VIII, manifestava repulsione verso la plebe, sentimento comune a tutto il patriziato, compreso i Nolfi. Tutto era rigidamente diviso, anche i posti nelle chiese: da una parte il popolo ,oppresso dalla povertà e dall’ ignoranza, che “ vedeva “ la messa, dall’altra, in banchi riservati da generazioni, la nobiltà in gran parte decaduta. Soltanto in tempo di carnevale era lecito unirsi.
Tra le varie descrizioni fatte sul finire del Cinquecento da illustri visitatori di Fano, quella dell’ambasciatore veneto Leonardo di Donato, che porta la data del 1581, è la più suggestiva :
E’ Fano città del Pontefice di anime cinque milliaseicento , cinta di muro con qualche fianco ,posta sopra la spiaggia della marina ma in bona altezza ,sì che rende la vista di sé molto piacevole…il suo territorio è fertilissimo di pane ,vino et oglio et è bello et piano. Ha molti gentiluomini, trai quali due in tre di 2000 scudi d’intrata, li altri poveri di cento fin 200,et tutti pretendono nobiltà.
L’avvio agli studi di Guido inizia proprio nella casa paterna , dove riceve i primi insegnamenti, poi approfonditi nel vicino convento di San Francesco, prima di raggiungere il collegio dei nobili a Bologna, dove ,dopo sei anni, si laurea in giurisprudenza . Sarà proprio in questo luogo che inizierà a coltivare il disegno di far sorgere una simile istituzione anche nella propria città, che maturerà nel Collegio- Università Nolfi grazie alla sua eredità.
Per una propria innata sensibilità ,Guido continua a coltivare gli studi letterari ed artistici che, come sottolinea il suo biografo, sono figli primogeniti del bello e confortano l’uomo nelle dure vicende della vita. Sentimenti che, in un rigido uomo di legge ,rimarranno sempre vivi e lo porteranno alla continua ricerca di artisti di ogni genere, in particolare pittori , che vivono nel suo stesso quartiere romano in cerca di protezione ed ascolto da parte di uomini potenti .
Giovane avvocato, Guido svolge i primi incarichi nel governo della giustizia all’interno dello Stato della Chiesa, prima di stabilirsi definitivamente a Roma per esercitare la sua professione che continuerà fino agli ultimi giorni della sua vita. Nella sua lunga e prestigiosa carriera il suo motto è nihil sine Prudentia , virtù che gli permette di raggiungere traguardi insperati e rimanere per oltre quarant’anni, nonostante l’incessante avvicendamento di tanti pontefici, nel delicatissimo dicastero della Dataria.
La Dataria Apostolica, istituita sul finire del Medio Evo, fu sempre al centro di delicati provvedimenti amministrativi della curia pontificia. Regolava la complessa materia beneficiaria da cui derivavano ingenti risorse, una specie di banca segreta del pontefice, completamente distinta dalla Camera Apostolica, vero ministero delle finanze di stato, con bilanci sempre passivi .
La funzione della dataria era quella di concedere grazie e favori, spirituali e temporali, dispense da leggi, generali e particolari. In pratica attribuiva a pagamento , in nome e per conto dei papa-re, i più disparati benefici . Da qui deriva il nome di “Curia graziosa”. Dicastero tutto particolare, dove vigevano poche regole scritte e dove gli impiegati ,con cura gelosa, cercavano di conservare il segreto su ogni cosa, anche sulla struttura e sul funzionamento del loro ufficio.
Guido entra a far parte degli onorati officiali della dataria, nel delicato ufficio del “magister missarum”, da missa die ,vale a dire il giorno della data, conserva il registro segreto che solo lui e il datario possono vedere. Dai libri di contabilità risultano pagamenti per ogni tipo di attività, compresa l’esecuzione di molte opere d’arte, tra le quali spicca la somma data a Michelangelo per i lavori nella Cappella Sistina ed a Raffaello per molte sue opere.
Con l’incessante e scrupoloso lavoro, Guido raggiunge ben presto una grande ricchezza utilizzata in prevalenza solo per glorificare la grandezza di Dio. Frequenta l’eremo di sant’Onofrio al Gianicolo dei padri girolomini, per lui oasi di pace, lontano dagli intrighi di curia, come per Torquato Tasso che cercava benessere per il suo corpo malato.
In seguito a questa sua frequentazione, l’uomo di legge fanese commissiona nella chiesa del costruendo eremo di Monte Giove una cappella dedicata proprio a Sant’Onofrio, dotandola di una pala d’altare che raffigura il santo eremita, opera del faentino Ferraù Fenzoni.
Nel tempo libero, solitario come il Tasso, sale spesso su questo balcone romano, dove ha modo di conoscere letterati , artisti, eruditi della cerchia degli Aldobrandini e degli Agucchi. Ma è in quest’angolo del Gianicolo che avviene l’incontro o si consolida la conoscenza con il personaggio che più di ogni altro segna per tanti aspetti la sua vita: il Domenichino.
Il giovane pittore bolognese, ancora poco conosciuto, riceve l’incarico di dipingere gli affreschi in Sant’Onofrio, a partire dal 1604, dal cardinal Gerolamo Agucchi, titolare di quella chiesa, presso cui aveva trovato ospitalità e protezione .
Erano quelli anche gli anni in cui nel duomo di Fano ha inizio la vicenda della cappella gentilizia, non ancora definita nella sua composizione, ma certamente è da questo incontro che Guido inizia a coltivare, in segreto, la possibilità di avere per la sua cappella un artista di questo calibro. Diventerà realtà con il contratto del 28 giugno 1617.
Da questo documento, preciso e inoppugnabile, si può supporre che il pittore fosse già a conoscenza dell’incarico prima di quella data legale e solo nel maggio del 1619 si concluderà la parabola dell’interminabile decorazione della cappella, voluta con tutte le forze da Guido.
L’apparizione del Domenichino, davvero inusitata, almeno fino a quando non si conoscerà la vera motivazione ,finora ristretta nell’ambito di una spiegazione meramente economica( compenso di quattromila ducati di moneta romana),fa mutare di colpo il quadro architettonico-plastico in un progetto plastico-pittorico.
Per comprendere la venuta a Fano dell’artista bolognese ,è importante sottolineare alcuni passi salienti della sua vita ,che lo pongono a contatto con il giurista fanese.
Il giovane Domenico Zampieri giunge a Roma negli ultimi mesi del 1601 per vedere ed essere appresso al Signor Annibale, dal quale era molto amato e riputato ,insieme a Guido Reni e Francesco Albani. Nella città santa ,a ridosso del giubileo del Seicento, si verifica una straordinaria convergenza di artisti italiani e stranieri che ,con linguaggi diversi, contribuiscono ad esaltare la chiesa trionfante clementina come strumento di edificazione. Il Domenichino riceve protezione presso il cardinal nipote Pietro Aldobrandini, lo stesso che aveva sostenuto il Tasso e del cardinal Girolamo Agucchi. E’ proprio la cerchia dei fratelli Agucchi ad esercitare grande influsso sia sul pittore bolognese che sul Nolfi . Tra gli interlocutori di questa cerchia c’erano antiquari ,storici, letterati, eruditi di vario genere, e scienziati come Galileo Galilei.
E’ ipotizzabile che Guido Nolfi, vissuto ininterrottamente nel rione Ponte, tradizionale luogo di incontro di banchieri, notai ed avvocati, abbia conosciuto ed apprezzato fin dagli esordi romani il giovane artista bolognese. In questo ambiente è facile pensare che il Domenichino goffo e irresoluto , assorbito dallo studio e lento nel produrre, catturi l’interesse dell’avvocato fanese che gli offre una somma generosissima, tale da permettergli una pausa di riflessione in una città di provincia, lontano dall’emulazione e dall’ambiente romano.
Nel contratto l’artista si impegna di recarsi a Fano nel gennaio del 1618 per mostrare i cartoni già pronti al cugino Nolfo ed a compiere, entro luglio dello stesso anno, venti dipinti con le storie della Vergine.
Nella città di Fano, ospite della famiglia Nolfi, il Domenichino trova un clima distensivo e di felicità creativa che ancora oggi si può leggere negli affreschi della cappella ,malgrado le vicende patite.
Scrive il Passeri: il Signor Guido fece ogni possibile per condurlo seco, per quest’opera e con offerte generose e cortesi trattamenti ve lo condusse et alloggiandolo sempre in casa sua, il trattò con lautezza e cordialità.
Le generose offerte e i cortesi trattamenti non servono soltanto per il ciclo di affreschi nel duomo, ma anche per alcuni dipinti destinati all’abitazione romana, chiamate allora opere “da camera” :
Davide con il gigante Golia e la Madonna della rosa.
Nella sua abitazione romana ,al momento dell’inventario eseguito dopo la sua morte , sono racchiusi oltre cento dipinti di vari autori(veneti, napoletani e fiamminghi), ed una raccolta di disegni di valenti pittori , frutto della sua lunga ed affannosa ricerca , destinati dopo la sua morte al Collegio Università Nolfi .
Quasi tutti sono stati venduti da qualche economo compiacente per una modesta somma di denaro. Smarrito anche il suo ritratto ,collocato nell’aula magna dell’Università. Ci rimane solo quello di Vincenzo Nolfi, suo figlio adottivo, una delle maggiori opere del Guerrieri.
Dopo una diaspora iniziata con l’invasione francese e mai più terminata, oggi dell’Eredità Nolfi restano poche cose. Malgrado un testamento così dettagliato ( nell’arco di quattro mesi dalla sua morte, , le sue spoglie si dovevano trasportare a Fano, gravando sulla coscienza del figlio ) le sue volontà non furono rispettate. Dopo tante traversie subite , tra cui un rovinoso incendio nel Settecento e i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale ,rimane la sua cappella gentilizia, immortale testimonianza della sua sensibilità di mecenate.