di Alberto Pellegrino
- L’aeronautica militare nella prima guerra mondiale
Allo scoppio della prima guerra mondiale tutti i comandi militari sottovalutano l’impiego bellico dell’aviazione e affidano alle poche squadriglie esistenti soprattutto compiti di ricognizione. Per volare sugli aerei del tempo è necessaria una buona dose di coraggio che rasenta l’incoscienza, perché gli aerei hanno una struttura molto fragile, essendo quasi tutti costruiti con una struttura di legno rivestita di tela e con alcune parti della fusoliera in duralluminio per quanto riguarda il carrello d‘atterraggio e i cerchioni delle ruote. Sono apparecchi molto lenti che non superano i 100 chilometri orari, volano a bassa quota e hanno una scarsa autonomia. Nel 1914 in Europa vi sono 400 velivoli che nel 1918 arrivano a tredicimila; tra il 1914 e il 1918 le fabbriche producono 177 mila apparecchi di ogni tipo. Nel maggio del 1915 l’aviazione italiana ha in dotazione 86 velivoli, ma ben presto la situazione si evolve e nasce il Battaglione Squadriglie Aviatori formato da 15 squadriglie, più una squadriglia agli ordini del Comando della Piazza di Venezia e 15 idrovolanti a disposizione dell’aereonautica della Marina. Nel primo anno di guerra l’aviazione italiana compie solo voli di ricognizione al servizio dell’artiglieria, ma quando gli idrovolanti austriaci cominciano a sganciare bombe su Venezia e su altre città adriatiche, anche l’Italia inizia a impiegare l’aviazione per azioni di bombardamento e di mitragliamento, per passare poi a vere e proprie battaglie aeree. Dopo la rotta di Caporetto, l’aviazione italiana è impegnata a rallentare l’avanzata austriaca, ad attaccare i centri direzionali e i nodi ferroviari austriaci, a mitragliare e bombardare le linee nemiche, a proteggere le trincee italiane dagli assalti dei caccia avversari. Di là dell’alone romantico che circonda i combattenti dell’aria, non bisogna dimenticare che la prima conseguenza di ogni azione di guerra è di provocare distruzioni di cose, vittime civili e militari. Inoltre, per le truppe di terra schierate nelle trincee, i piloti chiusi nelle loro eleganti divise sono considerati dei “raccomandati” o addirittura degli “imboscati”, mentre va ricordato che l’aviazione militare italiana ha pagato un alto contributo di vite umane con circa 2000 piloti e avieri caduti in combattimento o per cause di servizio.
- Il mito dei cavalieri del cielo
Nella cultura del mondo occidentale il volo, nei primi anni del Novecento, è il più grande mito moderno inteso come modello di vita, come desiderio di affermazione, come esaltazione dello spirito d’avventura: il pilota incarna la figura dell’uomo che sfida il cielo con le sue sole forze per librarsi in volo nello spazio, che si propone come il simbolo di una sfida alle leggi della natura, di una lotta contro la morte, richiamando alla mente gli antichi miti classici. I piloti militari, quasi tutti provenienti dal corpo di cavalleria, alimentare con loro imprese il mito del volo conquistano una vasta popolarità. Gli “assi dell’aria” più celebri sono stati il tedesco Manfred von Richtofen detto il Barone Rosso, il francese Fonck, l’inglese Mannock, l’austriaco Brumoski, gli italiani Francesco Baracca (1888-18 giugno 1918), Ruffo di Calabria e Silvio Scaroni. Gli ufficiali dell’aviazione militare trasferiscono lo spirito di corpo della cavalleria nella nuova arma, la quale assume determinati valori propri dei cavalieri del cielo: nessuna paura della morte, entusiasmo giovanile, senso del dovere e spirito di cameratismo, l’assunzione di determinati “riti” propri del combattimento “cavalleresco”. Nel momento delle più accanite battaglie aeree sull’odio prevale lo spirito cavalleresco e spesso, alla fine di un combattimento, i piloti si scambiano un saluto convenzionale. Non s’infierisce mai sul nemico abbattuto e spesso i piloti scendono a bassa quota per sincerarsi delle condizioni dell’avversario abbattuto; si riservano solenni onoranze funebri ai piloti caduti sul campo dell’onore. La propaganda presenta i duelli aerei come un’esaltante e spettacolare competizione sportiva, nella quale vincono i “cavalieri del cielo” più bravi e valorosi che in battaglia giostrano per amore di patria, mentre a terra hanno fama di essere degli eleganti dandy dediti alla vita mondana e a conquiste galanti.
- L’aviazione come strumento di propaganda e Gabriele D’Annunzio
In occasione della Grande Guerra la figura dell’aviatore è immediatamente sfruttata dai media del tempo: si pensi alle coloratissime copertine disegnate da Beltrame per La Domenica del Corriere, alle fotografie pubblicate dall’Illustrazione Italiana, agli eroi dei fumetti d’avventura come il piccolo Schizzo del Corriere dei Piccoli e, più vicino a noi, Snoopy il personaggio di Charles Schulz, che sogna di essere il Barone Rosso, oppure von Ricthofen in persona alle prese con Corto Maltese nel graphic novel Cotes de nuit e Rose di Piccardia di Hugo Pratt. Le gesta compiute dai nostri piloti fanno capire ai comandi italiani che l’aviazione militare può diventare una formidabile arma di propaganda, sfruttando gli aspetti spettacolari della guerra aerea raccontata per influire sull’opinione pubblica e sul morale delle famiglie e di quanti compongono il “fronte interno”. Il giornalista Ugo Ojetti, responsabile dell’Ufficio propaganda dell’Esercito, è il primo a capire l’importanza propagandistica dell’arma aerea e a fare leva su quotidiani e riviste per dare spazio alle imprese aviatorie italiane.
E’ proprio in quest’ambito propagandistico che nasce e si sviluppa l’idea del volo su Vienna e si afferma il ruolo svolto a questo proposito da Gabriele D’Annunzio che in quel momento è il più celebrato scrittore italiano e che oltre a essere un abile propagandista di se stesso, è anche un protagonista che ama ricoprire il ruolo del poeta-soldato. Egli ha una grande popolarità, ma non tutti lo amano, basti ricordare i versi “Messo milione di mangiaspaghetti moti/E che gusto ci ha provato/Quel figlio di puttana” (88 poesie, Mondadori, 1920), scritti da Ernest Hemingway che ha partecipato alla Grande Guerra con il grado di tenente della Croce Rosa.
Nel 1915 D’Annunzio si arruola in aeronautica come “tenente osservatore” e compie alcuni voli su Trento, Asiago, il Carso e la costa istriana, avendo come pilota il tenente Giuseppe Miraglia; nello stesso anno esegue diversi raid su Zara, Pola e più volte su Trieste, sulla quale sgancia migliaia di volantini propagandistici. Dopo la morte del tenente Miraglia, egli avrà come piloti i capitani Bologna, Boulot e Palli. Nel gennaio 1916, durante un volo di prova, causa del maltempo e di un arresto del motore il suo aereo cade nei pressi di Grado e D’Annunzio perde l’uso dell’occhio destro, rischiando di rimanere del tutto cieco come racconta nel Notturno, che rimane il suo scritto più drammatico e umano. Dopo una lunga convalescenza, nel settembre 1916 può ritornare al fronte ma, fino all’estate del 1917, preferisce condividere la vita di trincea degli umili fanti, partecipando alla decima battaglia dell’Isonzo (maggio 1917) e conseguendo i gradi di capitano. La sua passione rimane il volo e, dopo avere maturato l’idea che sia necessario sostenere l’azione della fanteria con l’appoggio degli aerei, il 22 luglio 1917 proclama che “l’arma nuovissima, l’ultima venuta, deciderà delle sorti, dividerà il nodo tremendo”. Nell’agosto 1917 riprende a volare e, a capo di 36 velivoli, bombarda la base navale di Pola; quindi s’impegna a proteggere le trincee italiane del Carso, scendendo bassa quota sulle linee nemiche, tanto da ritornare con l’aereo bucherellato, con una leggera ferita al polso. Ottenuti i gradi di maggiore, il 5 ottobre 1917 guida 15 biplani da bombardamento sulla base navale di Cattaro. Durante la ritirata di Caporetto, attacca con i suoi aerei il nemico per frenarne l’avanzata e per d’infondere fiducia nei combattenti. Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 partecipa alla Beffa di Buccari, penetrando nella base navale austriaca con tre motosiluranti guidate da Costanzo Ciano, Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini. Sono affondate quattro navi mercantili e vengono lasciate in mare delle bottiglie con un messaggio in cui si esalta il coraggio dei marinai italiani. L’impresa, che ha una militata importanza militare, ha un’enorme rilevanza sul piano della propaganda tra la popolazione civile e tra i soldati impegnati sulla linea del Piave. Dopo questa serie di successi militari, D’Annunzio diventa famosissimo e celebra ogni impresa con il suo linguaggio immaginifico. Si tratta di un’autocelebrazione certamente legata a una forma di eroismo che serve a esaltare la sua personalità di Superuomo, ma bisogna tuttavia riconoscere che egli agisce sempre con grande coraggio e che mette a rischio la propria vita in una continua sfida nei confronti del pericolo e della morte.
D’Annunzio comprende a questo punto che è giunto il momento per realizzare un progetto ideato nel 1917: compiere un raid dimostrativo e pacifico sulla capitale dell’impero austriaco. Da tempo, infatti, pensa alla realizzazione di un’impresa aerea mai realizzata e affascinante nonostante i pericoli che può presentare. Del resto, egli fin da giovane è rimasto affascinato dal mito di Icaro, al quale ha dedicato il Ditirambo IV dell’Alcione (1903). Il poeta racconta la storia del fanciullo che cresce al fianco di Dedalo, del giovinetto che arde di passione per la bellissima Pasife, dell’innamorato deluso che assiste inorridito al suo bestiale e osceno connubio con il toro. Quando Dedalo decide di fuggire da Creta, è Icaro a lottare con un’aquila reale per strapparle le penne necessarie a costruire le due paia d’ali. Una volta innalzatosi nel cielo, il giovane eroe assapora l’ebrezza del volo e insensibile agli ammaestramenti del padre, decide di sfidare la luce accecante del Sole che scioglie la cera delle sue ali e “roteando per la luce eterna” egli precipita in mare e D’annunzio aggiunge: “Icaro, Icaro, anch’io nel profondo/Mare precipiti, anch’io v’inabissi/la mia virtù, ma in eterno in eterno/il nome mio resti al Mare Profondo!”. Il poeta riprende questo tema in Altius egit iter, dove dice che “l’ombra d’Icaro ancor pe’ i caldi seni/del Mar Mediterraneo si spazia” e che “costui è l’antico/fratel mio. Le sue prove amo innovare/io nell’ignoto”. Ne L’ala sul mare D’Annunzio torna a parlare de “l’ala icaria” che vola sul mare per poi precipitare distrutta dal Sole e chiede “Chi la raccoglierà? Chi con più forte/lega saprà rigiugnere le penne/sparse per ritentare il folle volo?” e sono già in questi versi le premesse della grande impresa aviatoria del poeta.
- L’87^ Squadriglia la “Serenissima”e il volo su Vienna
Dopo la ritirata di Caporetto si allestiscono dei nuovi campi di aviazione, tra questi il campo di San Pelagio che viene allestito di fronte alla Villa Zaborra, oggi sede del Museo dell’aria e dello spazio . Agli inizi questa struttura è considerata un semplice deposito di aerei, ma la situazione cambia nel maggio 1918, quando diventa la sede della 87^ Squadriglia istituita nel novembre 1917 dal capitano veronese Alberto Masprone, il quale vuole riunire intorno a sé un gruppo di piloti veneti, ufficiali coraggiosi e bene addestrati, legati da vincoli di amicizia, reduci da diverse esperienze belliche. A questo gruppo si aggiungono poi altri piloti ben addestrati e provenienti da diverse formazioni. La Squadriglia prende il nome di Serenissima e si fregia sulle carlinghe del leone alato di San Marco, distinguendosi per alcuni azioni belliche come la partecipazione alla battaglia del Piave, oppure di propaganda come il volo compiuto dal tenente Locatelli per sganciare dei manifestini su Zagabria.
E’ in questa fase che prende corpo il progetto di compiere un raid su Vienna, un progetto che Gabriele D’Annunzio aveva ideato già nel 1917 per celebrare il quarto anniversario dell’inizio della guerra e per dimostrare agli avversari la superiorità dell’aviazione italiana. Dopo vari tentennamenti e ripensamenti giustificati dalle difficoltà tecniche nell’affrontare un volo di oltre mille chilometri, finalmente il generale Bongiovanni, capo dell’Aereonautica del Comando Supremo, dà l’autorizzazione a compiere il volo: “ Il volo avrà carattere strettamente politico e dimostrativo; è quindi vietato di recare qualsiasi offesa alla città … Con questo raid l’ala d’Italia affermerà la sua potenza incontrastata sul cielo della capitale nemica. Sarà vostro Duce il Poeta, animatore di tutte le fortune della Patria, simbolo della potenza eternamente rinnovatrice della nostra razza. Questo annunzio sarà il fausto presagio della Vittoria”.
Si sospendono le attività belliche e si cominciano a mettere a punto 14 aerei monoposto Ansaldo SVA 5 e 9, ma sorge un problema, perché il maggiore D’annunzio, ideatore del volo, non è in grado di pilotare un monoposto, per cui si prospetta l’eventualità che debba restare a terra. Il poeta è disperato ma è la tecnologia a correre in suo soccorso: si trova un biposto Ansaldo SVA 10, nel quale si sostituisce il serbatoio della benzina con uno di maggiore capienza, sopra il quale si colloca il sedile per D’annunzio. Alla guida dell’aereo è destinato il capitano il capitano Natale Palli. La formazione sarà formata da due gruppi di sette aerei che voleranno con una formazione a cuneo. Gli arei Ansaldo sono armati con due mitragliatrici, possono raggiungere una velocità massina di 225 chilometri orari e hanno un’autonomia di 6 ore, per questo si decide di aumentare la capienza dei serbatoi per poter effettuare un volo di mille chilometri; invece delle bombe ogni aereo porterà venti chili di manifestini, perché l’impresa deve avere un valore puramente dimostrativo.
D’Annunzio scrive il seguente testo: “In questo mattino d’agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l’anno della nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l’ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta. La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebbrezza che moltiplica l’impeto. Ma, se l’impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano combattere dieci contro uno. L’Atlantico è una via che già si chiude; ed è una via eroica, come dimostrano i nuovissimi inseguitori che hanno colorato l’Ourcq di sangue tedesco. Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo. Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l’Italia!”.
L’Ufficio Propaganda giudica il testo troppo lungo e poco efficace, per cui si affida a Ugo Ojetti la stesura di un secondo volantino che sarà tradotto anche in tedesco: “Viennesi! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi Italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco, testardo, crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni. Viennesi! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai lo vedete tutto il mondo s’è rivolto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola. Viva la libertà! Popolo di Vienna, pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva l’Italia! Viva l’Intesa!”.
Il 2 agosto 1918 si compie un primo tentativo con 14 apparecchi che però devono ben presto rientrare alla base a causa della nebbia che incontrano sulle Alpi e anche in Val Padana, per cui sette velivoli riescono a rientrare a San Pelagio, mentre altri sono costretti a compiere atterraggi in campi diversi e tre arei risultano addirittura inutilizzabili per i danni riportati. A seguito di questi incidenti il gruppo si riduce a 11 aerei con i seguenti piloti: il capitano Natale Palli (1895-1919) e il maggiore Gabriele d’Annunzio (1863-1938); il capitano Alberto Masprone (1884-1964); il tenente Ludovico Censi ( 1895-1964); il tenente Vincenzo Contratti (1893- 1918); il tenente Aldo Finzi (1891-Fosse Ardeatine 1944); il tenente Giordano Bruno Granzarolo (1894-1948); il tenente Antonio Locatelli (1895- Etiopia 1936); il tenente Pietro Massoni (1896-1956); il tenente Giuseppe Sarti (1895-1953); il sottotenente Girolamo Allegri (1893 – 1918); il sottotenente Francesco Ferrarin (1896 – 1964).
L’8 agosto il maggiore D’Annunzio stabilisce di compiere una seconda prova di volo con gli undici aerei superstiti. ma anche in questo caso la squadriglia deve ritornare alla base a causa del maltempo. Poiché il tenente Censi ha dovuto sganciare il suo carico di volantini in territorio nemico per alleggerire il suo aereo e poter fare ritorno, D’Annunzio decide di compiere il volo a ogni costo il giorno successivo per evitare che venga meno il “fattore sorpresa” e gli austriaci possano prendere le opportune misure con contrare l’impresa. Il comandante D’ Annunzio convoca i suoi piloti e fa giurare di arrivare fino a Vienna a costo di non ritornare più indietro; egli stesso decide di portare con sé una fiala di veleno per togliersi la vita nel caso cadesse prigioniero dal nemico.
- Il folle volo
Dopo avere ottenuto l’autorizzazione dal Comando supremo, la mattina del 9 agosto 1918, alle ore, 5,30, gli 11 apparecchi della 87^ Squadriglia si alzano in volo dal campo di San Pelagio. Pochi minuti dopo la partenza, il capitano Alberto Masprone per un’avaria deve fare un atterraggio di fortuna, per cui l’areo è danneggiato e l’ufficiale si rompe una mandibola; il tenente Vincenzo Contratti e il sottotenente Francesco Ferrarin devono a loro volta riportare indietro gli arei per un irregolare funzionamento del motore. Una volta superate le Alpi, il tenente Giuseppe Sarti è costretto ad atterrare sul campo di Wiener Neustadt per un arresto del motore e, prima di essere fatto prigioniero da alcuni ufficiali austriaci, riesce a incendiare il velivolo secondo le istruzioni ricevute. Il 13 agosto (a dimostrazione dello spirito cavalleresco dell’Arma) un pilota austriaco vola fin sopra il campo di San Pelagio e lascia cadere tre lettere nelle quali Sarti rassicura sulla sua salute i compagni e i familiari.
I sette aerei superstiti continuano il volo ordinati nella formazione a cuneo, guidati dai seguenti piloti: il capitano Natale Palli e il maggiore Gabriele D’Annunzio; il tenente Ludovico Censi ; il tenente Aldo Finzi; il tenente Giordano Bruno Granzarolo; il tenente Antonio Locatelli; il tenente Pietro Massoni; il sottotenente Girolamo Allegri detto “Fra’ Ginepro”. Lo stormo sorvola la valle della Drava e i monti della Carinzia, le città di Reichenfels, Kapfenberg e Nenberg, mentre ora il sole risplende nel cielo. La formazione non è attaccata dalla contraerea, solo due caccia austriaci l’avvistano e si affrettano ad avvertire il Comando, ma non sono creduti. Alle ore 9,20 i sette aerei italiani giungono sopra Vienna e cominciano a volteggiare nel cielo, mentre una folla è accorsa nelle vie e nelle piazze della capitale e si chiede con timore che cosa faranno quei velivoli italiani. La limpida giornata consente ai piloti di scendere al di sotto degli 800 metri di quota per sganciare migliaia di manifestini e scattare diverse fotografie. Si riprende quindi il viaggio di ritorno, scegliendo un altro percorso per evitare eventuali agguati dell’aviazione austriaca. Dopo avere superato le Alpi e volato sopra Trieste (dove un idrovolante si leva in volo, ma non riesce a raggiungere la formazione italiana), gli aerei sorvolano l’Adriatico e Venezia, dove D’Annunzio lascia cadere un suo messaggio augurale. Alle 12,35 il personale del campo di San Pelagio, dove sono presenti i generali La Polla e Bongiovanni, avvista la formazione in avvicinamento. Alle 12,40 il tenente Ludovico Censi, giunto sulla verticale del campo, ha ancora la lucidità per compiere con il suo aereo due looping perfetti, poi è il primo ad atterrare e, appena toccata terra. grida a gran voce ai compagni che sono corsi a festeggiarlo: “A settecento metri su Vienna”. Gli altri aerei si pongono in fila e atterrano uno dopo l’altro, ma i piloti sono così stremati e devono essere aiutati per usciere dagli abitacoli.
Il Comando Supremo emana il seguente comunicato: “Zona di guerra, 9 agosto 1918. Una pattuglia di otto apparecchi nazionali, un biposto e sette monoposti, al comando del maggiore D’Annunzio, ha eseguito stamane un brillante raid su Vienna, compiendo un percorso complessivo di circa 1.000 chilometri, dei quali oltre 800 su territorio nemico. I nostri aerei, partiti alle ore 5:50, dopo aver superato non lievi difficoltà atmosferiche, raggiungevano alle ore 9:20 la città di Vienna, su cui si abbassavano a quota inferiore agli 800 metri, lanciando parecchie migliaia di manifesti. Sulle vie della città era chiaramente visibile l’agglomeramento della popolazione. I nostri apparecchi, che non vennero fatti segno ad alcuna reazione da parte del nemico, al ritorno volarono su Wiener-Neustadt, Granz, Lubiana e Trieste. La pattuglia partì compatta, si mantenne in ordine serrato lungo tutto il percorso e rientrò al campo di aviazione alle 12,40. Manca un solo nostro apparecchio che, per un guasto al motore, sembra sia stato costretto ad atterrare nelle vicinanze di Wiener-Neustad”. D’Annunzio, da parte sua, invia alla Gazzetta del Popolo di Torino il seguente telegramma: “Non ho mai sentito tanto profondo l’orgoglio di essere italiano. Fra tutte le nostre ore storiche, questa è veramente la più alta…Solo oggi l’Italia è grande, perché solo oggi l’Italia è pura fra tante bassezze di odii, di baratti, di menzogne”.
Il volo su Vienna, irrilevante dal punto di vista militare, ha invece un’enorme rilevanza propagandistica in Italia e all’estero, coinvolgendo la stessa opinione pubblica dell’Impero. La stampa austriaca commenta favorevolmente l’impresa italiana che è definita l’incursione inerme degli aerei italiani sulla capitale nemica. Il Frankfurter Zeitung indirizza una dura critica “non contro gl’Italiani, ma contro le autorità, a cui i Viennesi devono gratitudine per la visita degli aviatori. La popolazione non fu avvisata prima, e non fu dato l’allarme quando gli aviatori arrivarono. Non occorre dire quale catastrofe poteva accadere se, invece di proclami, avessero gettato bombe. Non si comprende come abbiano varcato centinaia di chilometri senza essere avvistati dalle stazioni di osservazione austriache”. Lo Arbaiter Zeitung si chiede “D’Annunzio, che noi ritenevamo un uomo gonfio di presunzione, l’oratore pagato per la propaganda di guerra in grande stile, ha dimostrato di essere un uomo all’altezza del compito e un bravissimo ufficiale aviatore. Il difficile e fatidico volo da lui eseguito, nella sua non più giovane età, dimostra a sufficienza il valore del poeta italiano che a noi certo non piace dipingere come un comandante. E i nostri D’Annunzio dove sono? Anche tra noi si contano in gran numero quelli che allo scoppiar della guerra declamarono enfatiche poesie. Però nessuno di loro ha il coraggio di fare l’aviatore!”.
- Il tenente Ludovico Censi
Ludovico Censi nasce a Fermo il 21maggio 1895 da una nobile famiglia; egli ha prestato servizio come ufficiale di cavalleria, ma allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola con il grado di tenente nell’aviazione militare; partecipa a diverse azioni di guerra e si distingue per la sua abilità e il suo coraggio di pilota, per cui gli vengono assegnate una Medaglia d’Argento e una Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Nel marzo 1918 è assegnato alla 87^ Squadriglia “La Serenissima” e fornisce un significativo contributo al Volo su Vienna. E’, infatti, uno dei sette piloti che riescono a compiere questa impresa, ma il giorno prima del Volo è anche il protagonista di un episodio che poteva trasformarsi in tragedia. L’8 agosto il comandante D’Annunzio decide di effettuare un secondo tentativo di volo con gli undici arei che sono rimasti dopo la prima disastrosa prova di volo, ma ancora una volta il maltempo costringe la squadriglia a ritornare indietro. In questa fase è particolarmente coinvolto il tenente Ludovico Censi che è partito in ritardo per noie al motore e che sta volando a tutta velocità per cercare di raggiungere la squadriglia. Non riesce ad avvistarli perché nel frattempo gli altri aerei sono ritornati indietro. Sopra le Alpi Giulie le condizioni atmosferiche sono diventate impossibili a causa di una vera e propria bufera e Censi, per cercare di salvarsi, è costretto ad alleggerire l’aereo sganciando nel vuoto i volantini. Egli riesce con grande difficoltà a fare ritorno a San Pelagio, ma si prospetta il pericolo che i manifestini gettati in territorio austriaco possano allertare le difese avversarie; per evitare questa possibilità d’Annunzio decide allora di compiere il volo il giorno successivo. Questo episodio non impedire al tenente Censi di far parte della squadriglia che il 9 agosto partirà per Vienna.
Nel 1919 Censi, con uno stormo di aerei, segue D’Annunzio nella spedizione di Fiume, dove il poeta fonda la Repubblica del Carnaro con la quale si vuole affermare un nuovo modello di ordinamento politico ed economico. Dopo sedici mesi, nel Natale 1920, l’avventura ha fine dopo uno scontro tra i legionari fiumani e l’Esercito italiano. Il Trattato di Rapallo assegna la Dalmazia al Regno di Serbia, fatta eccezione per Zara che diventa parte del Regno d’Italia, mentre Fiume è prima considerata città libera sotto tutela internazionale e in secondo tempo viene annessa all’Italia. Ritornato in patria, Ludovico Censi lascia l’Aereonautica militare e intraprende la carriera diplomatica con l’incarico di Console d’Italia che ricopre in diverse città e capitali del mondo. Il 5 maggio 1950 viene collocato in pensione e si stabilisce a San Severino Marche, dove risiede fino alla morte avvenuta il 13 maggio 1964. Viene sepolto nel Cimitero comunale di San Severino dopo una solenne cerimonia funebre alla presenza di un picchetto d’onore dell’aereonautica militare. Sulla sua tomba è stato inciso il seguente motto: “Ardito pilota da caccia, con magnifico volo, affermava su Vienna la potenza delle ali d’Italia. 9 agosto 1918”.
Dal Forum La Grande Guerra, Tolentino 22 novembre 2014