I bombardamenti austriaci lungo la costa marchigiana

di Enzo Calcaterra

 Ci sono pagine di storia, soprattutto nei grandi conflitti, cui vengono destinati spazi molto esigui, spesso relegate a studi locali, quando non addirittura trascurate in blocco. Non è un mistero che nello scenario della Grande Guerra, in particolare nello scacchiere italiano, quello del mare Adriatico sia stato considerato un settore non particolarmente importante dal punto di vista strategico, ivi comprese le operazioni che vi sono svolte per tutta la durata del conflitto. Non potendo qui soffermarci sulle ragioni storiche, aggiungeremo poche osservazioni in funzione dell’argomento che ci accingiamo a trattare.

Se la guerra di trincea nel settore nord-orientale della Penisola ha assorbito nei decenni molte delle energie della storiografia nazionale, non altrettanto può dirsi per la ricca casistica offerta dalle operazioni aeronavali e dall’evoluzione sempre più efficace delle stesse a partire dal 1915 fino agli ultimi mesi del 1918. Dobbiamo tuttavia precisare che l’oggetto della nostra esposizione sarà ancor più circoscritto, limitando il campo di osservazione alle sole azione offensive delle forze austro-ungariche sul versante costiero marchigiano. Infine, ricorderemo gli episodi più significativi verificatisi nel periodo considerato, riducendone per altro la cronaca all’essenziale.

Diversità geografiche e forze in campo

Mentre – anche con appoggio di unità alleate – la Marina italiana poteva presentare condizioni inziali di superiorità su quella austro-ungarica, la geografia lasciava a vantaggio dell’Italia solo gli sbocchi sul mare, con la possibilità di chiudere il canale d’Otranto in un blocco che poi si sarebbe rivelato sostanzialmente risolutivo.

La costa adriatica era tutta liscia, bassa, priva d’insenature e porte per circa settecento chilometri, con uniche basi Venezia e Brindisi. La costa opposta, invece, dall’Istria alle Bocche di Cattaro, era rocciosa, con baie, golfi naturali, barriere protettive delle isole Dalmate e Cursolane. Dal munito porto di Pola e una serie di basi sicure (l’Austria si preparava da tempo a questa eventualità), navi veloci erano in grado di partire, traversare l’Adriatico in tre ore, bombardare e rientrare prima ancora di essere intercettate. Questo dava la possibilità di sbucare di sorpresa e piazzeforti, raggiungere rapidamente gli obiettivi, seminare morte tra civili e militari, distruggere strutture logistiche, colpire retrovie e centri abitati all’interno, ritirarsi col minimo di perdite rischi.

Anton Haus

Anton Haus

Le ripercussioni furono di ordine psicologico, di forte impatto sull’opinione pubblica (il cosiddetto fronte interno), più che militari. Nella maggior parte dei casi, soprattutto per le linee ferroviarie, i danni furono assorbiti in tempi relativamente brevi. Le azioni non incisero in modo determinante sulla tenuta del territorio né sulle operazioni in corso al nord. Ma bisogna dimenticare che a essere in gioco non era solo la pur importante incolumità di civili e militari. Esisteva anche la concreta e tutt’altro che remota minaccia all’ala destra dello schieramento terrestre nel Golfo di Trieste. Si aggiunga la possibilità di sbarchi e incursioni sul territorio adiacente alla costa con le conseguenze che si possono immaginare, anche se esperti di cose militari hanno sempre sostenuto l’estrema difficoltà che la costa adriatica presenta a uno sbarco in forze, compresa la conformazione in valli e aree montuose per un’eventuale invasione in profondità. Ma le teorie, in guerra, vengono spesso smentite sul campo, come ha scritto qualcuno. Non a caso, la difesa di Venezia dal mare diventò vitale nel 1917 alle spalle dello schieramento sul Piave, nel momento più critico di tutta la guerra. Non ultima, la pressione sulla fascia a ridosso sulla costa poteva incidere non poco sulla necessità di garantire l’afflusso di truppe, armamenti, rifornimenti, collegamenti, trasporti verso il fronte per via terrestre. Le Marche, rappresentano, proprio per questo, un trait d’union nord-sud sul versante più direttamente coinvolto dagli eventi bellici.

L’Ammiraglio Anton Haus

Fino al 1917, cioè nella fase cruciale dell’intero conflitto italo-austriaco nell’Adriatico, le azioni furono dirette dal Comandante in capo della flotta austro-ungarica Ammiraglio Anton Haus. Almeno da quanto ci risulta dalle numerose fonti consultate, la storiografia italiana o straniera gli hanno sempre dedicato pochissimo spazio. Ma, dato che, in fin dei conti, tutta la costa est italiana è stata martellata per due anni dalle forze ai suoi ordini, crediamo valga la pena di conoscerla meglio. Oltretutto, si scopre un nemico di alto profilo, tutt’altro che un comprimario in una guerra dove abbondano protagonisti di primo ordine su tutti i fronti. Anton Freimerr von Haus nacque a Tolmino, allora in territorio austriaco sulla sponda dell’Isonzo, il 13 gennaio 1851. Terzo di quattro figli, dopo gli studi ginnasiali a Lubiana si arruolò nel 1869 nella k. u. k. Kriegemarine, la Marina da guerra austriaca. La sua carriera proseguì rapida fino alla prima data significativa del suo percorso di militare. Nel 1900 gli fu affidato il comando di una fregata che operava con le altre forze internazionali inviate in Cina per reprimere la rivolta dei Boxers e agevolare la penetrazione occidentale in un paese in sfacelo.

Un altro incarico ancor più prestigioso gli venne nel 1907. Come esperto militare, ma con un ruolo diplomatico d’importanza internazionale, prese parte alla seconda Conferenza di pace dell’Aja nel 1907, cui parteciparono ben 44 Paesi. Avrebbe dovuto regolamentare i rapporti politico-militari tra le grandi potenze, ma la terza Conferenza non poté svolgersi per ovvie ragioni: era il 1913! Haus ricoprì il ruolo ufficiale di delegato per l’Impero austro-ungarico. Ma il culmine della sua carriera giunse nel 1916, quando ottenne il doppio grado di primo e unico Befehlisaber (Comandante della Regia Marina) e il titolo di Grobadmiral (Grande Ammiraglio). Quest’ultimo titolo gli fu conferito dall’Arciduca Carlo d’Austria, futuro imperatore Carlo I e ultimo sovrano asburgico. Nel 1915 si trovò a guidare la flotta imperiale nelle operazioni sull’Adriatico.

Ad Haus si riconoscono doti di grande (mai inascoltato e incompreso) stratega navale, infatti tentò di rivalutare in ogni modo il ruolo della flotta del suo Paese durante la prima guerra mondiale. Era inoltre sua convinzione che questa sarebbe stata meglio impiegata nel Mediterraneo come deterrente, piuttosto che nel Mare del Nord o in Atlantico. Eppure, malgrado il sostegno e l’approvazione del Governo e del Comando generale, ricevette molte critiche dai suoi alleati tedeschi, che consideravano il mantenimento di una flotta permanente nell’Adriatico un inutile spreco di denaro ed energie. Insomma, si potrebbe parlate di una bizzarra quanto inefficace “concordia discors”. L’Ammiraglio non vide la fine della guerra. Morì di polmonite a 66 anni, il 7 febbraio 1917, a bordo della Viribus Unitis, ancorata nel porto di Pola. La sua salma sarebbe stata trasferita a Vienna nel 1925. La Viribus Unitis gli sopravvisse poco più di un anno: venne affondata dai MAS italiani il 1° novembre 1918, a un passo dall’epilogo.

I bombardamenti del 23-24 maggio 1915

L’attività di bombardamento austriaco sulle Marche e sull’intero settore adriatico iniziò prestissimo, nella notte tra il 23 e il 24 maggio 1915. Fu la scorreria più grave ed estesa messa in atto nell’intero conflitto. La tipologia degli attacchi si potrebbe ricondurre a due forme: cannoneggiamenti navali dal mare; bombardamenti con aerei e idrovolanti. Da Venezia alla Puglia, un violentissimo fuoco di più unità investì la fascia est dell’intera Penisola quasi contemporaneamente, per diverse ore, tra la notte e l’alba dell’inizio del conflitto. Vennero cannoneggiate molte località: Venezia, Porto Corsini (Ravenna), Viserba (Forlì), Rimini, Jesi, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Porto Recanati, Potenza Picena, Campobasso, Termoli, Vieste, Manfredonia, Barletta.

Ancona, città simbolo delle Marche

Ancona è diventata, in questa circostanza, la città simbolo per due motivi. Innanzitutto fu più spesso e duramente colpita di altre, fatta oggetto d’incursioni dal cielo e dal mare in più occasioni. In secondo luogo rappresentava geograficamente e storicamente lo snodo di una storia in cui si riconosce l’intera Regione. Punto strategico a metà Adriatico, diventò confluenza di comunicazioni tra nord e sud in relazione a tutte le iniziative funzionali al conflitto.

Nonostante fosse noto al Governo austriaco il suo “status” di città disarmata, dunque esposta ad attacchi fra le tre e le cinque antimeridiane del 24 maggio, si mosse contro il porto dorico una poderosa forza navale austriaca in formazione di battaglia, in concomitanza con un bombardamento su Venezia di idrovolanti, per altro utilizzati anche in questo settore. Era una forza imponete do otto squadre, 13 navi da battaglia, 13 cacciatorpediniere e 5 navi esploratrici. Salpate nella tarda serata del 23, sferrarono l’attacco poche ore dopo. Furono danneggiati: la Cattedrale, le prigioni, l’ospedale militare, il cantiere navale, quartieri e case private. Il bombardamento durò circa due ore e causò oltre 60 vittime tra civili e militari. Morì anche una 62 enne ferita da una scheggia di artiglieria, tale Filomena Naspetti, alla quale spettò il triste primato di essere stata la prima donna italiana morta alle 4. 30 dall’inizio della Grande Guerra. La scarsa reazione delle difese, l’effetto sorpresa, la violenza dell’attacco e il terrore comprensibilmente seminato tra la popolazione permisero alla flotta austriaca di rientrare a Pola senza conseguenze.

Altri bombardamenti, altri bersagli

Nelle stesse ore, tra il 23 e il 24 maggio 1915, altre località marchigiane furono colpite dal cielo e dal mare. A potenza Picena e Porto Recanati il cannoneggiamento di un incrociatore e due torpediniere di scorta si svolse in due fasi: alle 3.00 antimeridiane, poi ripreso alle 4.40. Furono bersagliati soprattutto i ponti della Via Aprutina e della strada ferrata presso le foci del Potenza. La seconda fase fu più violenta: venne danneggiato il ponte sulla strada ferrata, ma non al punto da impedire totalmente il transito dei convogli. Il ponte non subì, infatti, troppi danni perché “protetto” dall’altro, tanto che il traffico ferroviario poté riprendere già alle 9.00 del mattino seguente. Il casello ferroviario venne invece distrutto con un bilancio di sei morti, tre feriti gravi e altri leggeri. Alle 5.00 le navi nemiche si allontanarono. Nel frattempo anche Senigallia era stata attaccata da una corazzata austriaca e due torpediniere. Con circo 50 colpi furono distrutti lo scalo ferroviario, il faro, il semaforo e altre case. Su un treno militare, che trasportava un battaglione di milizia territoriale, esplose un vagone di munizioni centrato in pieno. Si contarono venti morti e trentuno feriti. A Fano venne danneggiato un hangar.

Bombardamenti nel 1915

Nei mesi successivi altre incursioni non meno pesanti si aggiunsero a quelle del primo giorno di guerra. Il 18 giugno esploratori e cacciatorpediniere austriaci cannoneggiarono un tratto di linea ferroviaria litoranea nei pressi di Fano e Pesaro. La stessa Pesaro, benché indifesa, venne bombardata: i danni furono di lieve entità e solo alcuni civili rimasero leggermente feriti. Il 20 luglio venne attaccata Grottammare; il 23 luglio fu la volta di Cupramarittima; il 27 luglio Fano con Ancona, che ebbe novanta morti e sessantasette feriti. Il 18 agosto incrociatori bombardarono Fano, il 27 agosto ancora Fano, Senigallia e Ancona.

  1. Bombe su Ancona

L’anno seguente non fu meno cruento, soprattutto per Ancona. Il 17 gennaio e il 3 aprile il capoluogo di regione fu ancora sotto attacco. In questa seconda occasione il porto dorico venne assalito alle 15. 30 da cinque idrovolanti appoggiati al largo da due siluranti. La difesa fu stavolta molto tempestiva ed efficace: tre aerei furono abbattuti. La reazione delle batterie antiaeree di un treno armato e di quattro velivoli italiani ottenne un eccellente risultato. Un idrovolante austriaco, caduto in mare, fu infatti catturato; un secondo s’incendiò in acqua; il terzo affondò mentre trasferito nel porto. I due idrovolanti superstiti si ritirarono. Il bilancio delle vittime si contò in tre morti e dodici feriti non gravi, tra cui un ragazzino di 11 anni e un facchino di 61. Rimasero sotto le bombe due giovani e una povera vecchietta inferma, morta per il crollo della sua catapecchia.

La guerra continua…

Abbiamo fin qui ricordato, sia pure sommariamente per ragioni di sintesi, le incursioni più importanti sulla costa marchigiana nei primi due anni di guerra. Nell’Adriatico l’evoluzione del confronto tra le due flotte evidenzierà sempre più l’iniziativa da parte italiana, con la creazione di una rete difensiva maggiormente incisiva nel corso dei mesi. Le forze aeronavali austro-ungariche subiscono tra il 1917 e il 1918 attacchi di grande efficacia, non solo militare ma soprattutto propagandistica. Alcune azioni messe a segno dagli incursori italiani – i MAS – (un esempio per tutti) culmineranno nel 1918 con l’affondamento delle due unità di punta della Marina imperiale, vanto e orgoglio di una potenza destinata la declino: la Santo Stefano il 10 giugno e la corazzata moderna Viribus Unitis il 1° novembre.

I bombardamenti cui furono sottoposte per mesi le città costiere e parte dell’entroterra ebbero una loro utilità? Se possiamo ribadire che dal punto di vista militare non vi furono vantaggi per la flotta austro-ungarica, tanto meno sulle sorti del conflitto, qualche considerazione può essere proposta per ciò che riguarda la parte italiana. Il sacrificio pagato da molte località in vite umane e distruzioni accrebbe sicuramente le responsabilità del governo d’Italia nelle operazioni su un settore particolarmente importante per la sua identità politica e territoriale. Il pericolo incombente costituì senz’altro un fattore significativo nel mettere a punto, gradatamente ma sempre più efficacemente, una complessa organizzazione di batterie contraeree, treni armati con cannoni ogni 60 chilometri, sorveglianza aerea, pattuglie di MAS in grado di minacciare sempre più spesso le forze avversarie fin nei loro stessi porti.

Tutto ciò non rese soltanto le incursioni nemiche più difficili, ma impossibili. Forse non è del tutto azzardato ipotizzare, per lo scacchiere adriatico, un passaggio decisivo a una strategia capace di spostare, in tempi relativamente brevi, le forze aeronavali italiane da una iniziale inferiorità e difficoltà difensiva, a una incisiva azione di contenimento e progressiva superiorità su un nemico più disposto a evitare lo scontro e puntare su “spedizioni punitive”, alquanto inefficaci nella globalità dello scontro in atto.

Dal Forum La Grande Guerra, Tolentino 22 novembre 2014

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