di Alberto Pellegrino
Adriana Argalia per diversi anni ha affrontato in una serie di notevoli pubblicazioni i generi fotografici più impegnativi fino a quando nel 2012 ha pubblicato Trac, il volume con cui ha magistralmente esordito nel difficile campo della fotografia teatrale. L’autrice ritorna ora sulla scena con Libràrsi, una pubblicazione dove ha raccolto un’ampia selezione delle immagini scattate tra il 2005 e il 2014 all’interno del Teatro Pergolesi di Jesi e dei teatri di Maiolati Spontini, San Marcello, Montecarotto e Monte San Vito, gestiti dalla Fondazione Pergolesi Spontini che ha coordinato la pubblicazione finanziata dalla Banca Popolare di Ancona sempre attenta alla promozione culturale del territorio jesino.
L’autrice ha scelto questo titolo perché evoca leggerezza ed elevazione verso l’alto; inoltre, a differenza del precedente volume dove erano presenti immagini a colori, ha deciso di fare una scelta di fondamentale importanza artistica, preferendo usare il linguaggio del Bianco e Nero, che ha conferito a questo lavoro una maggiore unità stilistica e quella intensità poetica capace di rendere affascinante questo racconto fotografico nato sulle tavole del palcoscenico, riuscendo a superare la dimensione della semplice “foto di scena”, per arrivare a tradurre in immagini la magia del teatro con le sue scene che lievitano nello spazio, con i suoi personaggi che acquistano nuova vita nonostante la fissità dell’inquadratura.
L’Argalia dimostra ancora una volta di saper “raccontare” il Teatro, perché è riuscita a fissare il momento effimero di ogni rappresentazione destinata a nascere e a morire entro un esiguo spazio temporale, conferendole il dono della continuità e della visibilità. Questo piccolo “miracolo” è reso possibile, quando si possiede quella dote, propria del fotografo di razza, di saper individuare, scegliere e fissare nella frazione di un secondo un gesto, uno sguardo, un movimento, il volto di un personaggio, un particolare o l’insieme di una scena appartenente a qualunque genere teatrale: la prosa, la lirica, la musica classica, la canzone d’autore, la danza, il cabaret, il musical, il teatro delle marionette. In questo modo la fotografia diventa a sua volta spettacolo, perché nel passare da un’immagine all’altra si ha la sensazione di trovarsi all’interno dell’evento teatrale, di partecipare a una serie di sequenze narrative separate da una punteggiatura iconica che Adriana sa usare con grande padronanza linguistica, quando inquadra una parte dell’orchestra, il dettaglio di uno o più ottoni, uno spartito, una sezione di palchi, una platea vuota, gli attori in attesa di entrare in scena. Tra un siparietto e l’altro ecco materializzarsi sul palcoscenico grandi personaggi come Don Giovanni e Leporello, Romeo e Giulietta, Lady Macbeth, Lucia di Lammermoor, Tosca, Rigoletto, la piccola Butterfly, oppure importanti interpreti della scena teatrale come Gabriele Lavia, Sandro Lombardi, Ottavia Piccolo, Maddalena Crippa, Franca Valeri, Carlo Giuffrè, Alessio Boni, Vinicio Capossela. Sfilano poi su questo palcoscenico ideale i grandi classici della lirica, della prosa e del balletto, le opere rare dei compositori jesini (Il prigioniero superbo, Adriano in Siria, L’Olimpiade, La Vestale); alcune interessanti proposte del nuovo teatro italiano come Le ceneri di Gramsci di Pasolini, MPalermu di Emma Dante, Italiani cingali di Mario Perrotta, La commedia di Candido di Stefano Massini.
Adriana Argalia non rinuncia mai al suo stile personale caratterizzato dalla costante cura della inquadratura, dal sapiente uso dei vari piani che vanno dal dettaglio alla figura intera, dal piano medio ai primi e primissimi piani, dall’impiego sempre misurato di effetti particolari come il “mosso”, lo “sfocato”, il controluce. Da questo insieme di elementi emerge un continuo gioco di ombre e di luci, un sempre equilibrato rapporto tra la profondità dei neri e lo splendore dei bianchi, passando attraverso tutte le gradazioni del grigio. Così il teatro, destinato a perdersi nelle nebbie della memoria, si rianima, torna a riprendere il suo posto sulla scena, fa rinascere nella mente di chi osserva emozioni e sensazioni vissute nel corso di una rappresentazione. Si comprende allora come questo libro svolga la particolare funzione di ricordare che il teatro è ancora straordinariamente vivo nonostante sia la più antica delle arti sceniche, che esso continua a trasmettere i suoi messaggi attraverso le generazioni proprio perché non ha la rigida fissità della pagina letteraria, ma ritorna ogni sera a essere vita all’aprirsi del sipario, al di là del quale l’aspetta l’obiettivo vigile e sensibile di Adriana Argalia.