di Elisabetta Peyron Vitalini Sacconi
I Varano, per oltre trecento anni signori di Camerino, costruirono a difesa e controllo del loro territorio un formidabile scacchiere
fortificato che si avvaleva di numerose costruzioni militari: rocche, torri e cinte fortificate. Nel 1382 Giovanni da Varano detto “Spaccaferro”, per contrastare le mire espansionistiche di Matelica e San Severino, realizzò una linea difensiva che si estendeva per circa 12 chilometri, da Torre Beregna, crollata in tempi recenti, alle bocche di Pioraco. Ne facevano parte le due torri di Rocca d’Ajello, Torre del Parco (detta anche “Salvum me fac”, “Torre dei Bilancioni” o “Torre del Ponte” in quanto difendeva il ponte sul fiume Potenza), il castello di Lanciano (trasformato in splendida villa con grande parco da Giovanna Malatesta, sposa di Giulio Cesare Varano, alla fine del sec. XV) e la torre Porta di Ferro a Pioraco, non più esistente. Le difese della linea erano costituite da fosse, terrapieni e da una sorta di cavalli di frisia la cui realizzazione richiedeva una grande quantità di alberi: da qui il nome di “Tagliata” o “Intagliata”.
Fra il 1260 e il 1280 Gentile I da Varano fece edificare le due torri di Rocca d’Ajello, il cui nome deriva forse dalla parola “agellus”
(campicello). Erano torri di avvistamento, sicuramente molto più alte di quanto non siano attualmente, da cui si effettuavano collegamenti ottici con altre fortezze dello scacchiere e si controllava il vicino fiume Potenza, la conca del Palente e la gola che conduceva a torre Beregna, detta anche “Troncapassi”. Le due unità fortificate erano collegate da una galleria seminterrata ed essendo costruite a distanza ravvicinata, sottoponevano l’eventuale attaccante a tiro incrociato nell’area sorvegliata in comune.
A Giovanni da Varano (1377) si deve l’inizio della trasformazione del complesso, che sarà portata a compimento nel 1475 da Giulio Cesare da Varano, le cui iniziali figurano in un frammento di affresco ritrovato nella Sala d’Armi. Le due torri vennero collegate per mezzo di una cortina a piombo, in modo che aggettassero ai vertici di due lati, diagonalmente, infilando ciascuna due fronti. Questa integrazione strutturale ha dato vita ad un complesso fortificato a pianta trapezoidale, adibito anche ad abitazione.
Nell’inventario dei beni dei Varano fatto redigere nel 1502 da Cesare Borgia, impadronitosi dello stato di Camerino, Ajello è definito
“Villa con Rocca”. Dopo la fine della signoria dei Varano, a metà del ‘500, il castello passò allo Stato della Chiesa e quindi a varie famiglie fra cui i Massei e i Bruschetti. A fine Ottocento fu acquistato da Ortenzio Vitalini, ai cui discendenti tuttora appartiene.
L’attuale aspetto della costruzione è frutto di una serie di trasformazioni dovute soprattutto ai crolli causati dai terremoti, fra cui quello disastroso a fine ‘700. L’antica struttura della fortezza è tuttora ben visibile ai livelli più bassi. La cantina, un vasto ambiente dalla volta a botte, mostra sul fondo gli strati di roccia su cui poggia la costruzione. All’epoca dei Varano, era la scuderia della guarnigione: tutto un lato è occupato da una serie di nicchie che servivano da mangiatoie per i cavalli. Era questo sicuramente il passaggio seminterrato che collegava le due torri. Ancora più in basso troviamo una serie di cellette scavate in parte nella roccia e sormontate da piccole volte a crociera, adibite anticamente a celle per i prigionieri, e in seguito usate per mantenere in fresco cibi e vino. Attraverso un grottone con volta a botte, si passa al livello superiore, la grande Sala d’Armi, ove sono stati ritrovati pezzi di affreschi quattrocenteschi con decorazioni geometriche. Anche qui volta a botte in pietra arenaria e muri di grande spessore, a prova d’arma da fuoco. A questo livello si trova pure la cisterna per la raccolta delle acque piovane dai tetti, scavata nella roccia e collegata ad un pozzo tuttora visibile nella cucina del primo piano. Notevole il cortile con pozzo centrale, su cui si apre la porta originaria del castello, un tempo tutelata da ponte levatoio.
Le stanze del primo piano e della torre principale, dalle volte affrescate fra il ‘700 e l’800, ospitano opere di Francesco Vitalini, pittore e incisore, nato a Fiordimonte nel 1865 e autore di un trattato sulle varie tecniche di incisione (“L’incisione su metallo”, Roma, 1904). Soggetti preferiti dei suoi acquerelli, quadri a olio e delle raffinate incisioni, sono Roma e la campagna romana, le colline marchigiane, il Bosforo e i Balcani, i paesaggi alpini. Proprio nelle Dolomiti trovò tragica morte nel 1905, a soli quarant’anni, cadendo nel burrone di Gravasecca vicino ad Auronzo, al ritorno da un’ascensione solitaria.
La chiesa di San Biagio, antistante il castello, sorge sui resti di una piccola abbazia del IX secolo, dipendente da quella ben più grande di Sassovivo a Foligno. L’affresco absidale, datato 1523, è opera di un pittore della scuola di Girolamo di Giovanni. Vi sono rappresentati, ai piedi del Cristo Crocifisso, Maria, Giovanni e il Vescovo San Biagio.