Un spettacolo di notevole valore incanta il pubblico delle Marche

di Alberto Pellegrino

Erano anni che non si vedeva uno spettacolo con venti interpreti in scena tra attori e attrici, con un complesso di quattro musicisti che eseguono una serie di canzoni degli anni trenta, con un cast che recita, canta e balla per tre ore consecutive senza che il pubblico faccia uno sbadiglio, con un testo intelligente che non scade mai nella volgarità, perché usa l’arma dell’ironia e della comicità filtrata attraverso l’antica e gloriosa tradizione della Commedia dell’Arte. Questa specie di miracolo è stato compiuto dalla Compagnia degli Ipocriti e dal Gruppo Danny Rose che hanno messo in scena per la stagione 2014/2015 Servo per due, dopo oltre un anno di prove sul testo, di seminari sul corpo, sul canto e sul ballo.

Nel 2011 l’inglese Richard Bean adatta per il National Theatre di Londra, con il titolo One Man, Two Guvnors, la commedia Il servitore di due padroni che Carlo Goldoni nel 1745 scrive sotto forma di canovaccio per l’attore Antonio Sacco, in arte “Truffaldino”, che naturalmente recitava all’impronta. Successivamente Goldoni trasforma il canovaccio in una versione completamente scritta, creando una delle sue commedie più famose e più rappresentate in tutto il mondo. L’adattamento inglese risulta così funzionante e divertente che da tre anni va ancora in scena nel West End con un’immutata affluenza di pubblico.

Pierfrancesco Favino, Paolo Sassarelli, Marit Nissen e Simonetta Solder sono affascinati da questo testo, lo traducono dall’inglese, lo adattano a un contesto italiano, scegliendo come ambientazione la Rimini del 1936 e sostituendo la tipica comicità inglese con un umorismo più vicino alla cultura teatrale italiana, quindi formulano un progetto di produzione per portarlo sulla scena. Sono ancora Pierfrancesco Favino e Paolo Sassarelli a occuparsi della regia, scegliendo la strada della comicità, della velocità di ritmo, dell’agilità fisica, della caratterizzazione dei personaggi che sono stati italianizzati, per cui i gangster diventano piccoli criminali di borgata, un aspirante attore è un guitto che scimmiotta il teatro classico e futurista, la servetta goldoniana diventa una procace maliarda della provincia romagnola, l’avvocato è un trombone che spara citazioni latine a vanvera, Clarice è una povera ragazza oppressa dalla famiglia, come Rachele in fuga da una serie di disgrazie e dall’ambiente d’origine, tutta presi da una vertiginosa girandola di equivoci e di inganni. L’unico a rimanere sempre fedele a se stesso è Pippo (l’Arlecchino goldoniano) sempre affamato, sempre in cerca di cibo e di denaro, costretto a dividersi in modo alquanto schizofrenico tra due diversi padroni, un personaggio interpretato da uno straordinario Pierfrancesco Favino, attore cinematografico solitamente impegnato in parti drammatiche, che in questo caso sfoggia una verve, una fisicità, una comicità insospettate e scoppiettanti, per cui il teatro di prosa italiano scopre un interprete che non solo ha delle grandi qualità recitative, ma è anche capace di cantare, ballare e rotolarsi sulla scena per tutta la durata dello spettacolo.

Al successo della rappresentazione contribuiscono le belle scene di Luigi Ferrigno, i costumi di Alessandro Lai, le luci di Cesare Accetta e le coreografie di Fabrizio Angelini. Un tocco di classe è dato dalle musiche eseguite dal vivo dal gruppo Musica da Ripostiglio, formato da quattro musicisti-cantanti che rivisitano canzoni di successo della rivista e della radio anni Trenta. Naturalmente abbondano le citazioni: le macchiette e le gag del varietà; l’apparizione sulla scena del Trio Lescano che furoreggia nella radio del tempo; la discesa dalle scale della “divina” Vanda Osiris, incontrastata regina della rivista riportata sulla scena da un attore en travesti; il ricordo del regime fascista con il ripetuto ingresso delle Camice Nere che ballano e cantano frivole canzonette, tenendo in pugno il fatidico manganello. C’è pure un omaggio al Fellini di Amarcord con il profilo del transatlantico Rex che attraversa la scena come un nostalgico e mitologico reperto storico.

Servo per due è uno di quegli spettacoli che fanno bene al teatro, perché offre un divertimento intelligente che non anestetizza le intelligenze, perché riesce a sopportare uno sforzo produttivo che comporta un rischioso investimento di capitali grazie al consenso accordato dal pubblico, perché assicura lavoro e soddisfazioni professionali a un folto gruppo di attori e tecnici, perché nasconde un secondo livello di lettura che investe aspetti e problemi della società contemporanea, come sottolinea Pierfrancesco Favino dicendo che “in questa opera ognuno vuol sembrare di essere ciò che non è, come accadeva in quegli anni in cui gli italiani volevano sembrare ciò che non erano”. Lo spettacolo ha compito nelle Marche dal 10 al 16 febbraio una breve tournée che ha preso l’avvio dal Teatro Marchetti di Camerino, per passare al Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno e al Teatro Rossini di Pesaro, per concludersi infine nel Teatro Pergolesi di Jesi, riscuotendo sempre il consenso di un pubblico che ha affollato tutti i quattro teatri.

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