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La Badia di Santa Maria di Sitria e i monti del Catria

di Marco Belogi

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Affresco interno di Badia di Sitria

Nonostante i disboscamenti radicali e indiscriminati, nonostante le molte ,troppe strade che hanno prodotto ferite insanabili nei prati e nei boschi, nonostante tutto, i monti del Catria hanno conservato sostanzialmente la loro bellezza selvaggia.

Catria è il nome di un vasto massiccio montuoso sito nella parte settentrionale dell’Appennino umbro-marchigiano, una dorsale possente, con cime spoglie ed arse, tra le più alte di quella zona appenninica, percorsa sui fianchi da immense rughe selvose, rotta da giganteschi dirupi di roccia calcarea. Il nome  del massiccio viene dalla cima più alta, dal vocabolo latino Cathedra, italianizzato in cattedra o seggiola più alta, per sottolineare l’aspetto della sua  cima simile ad un gigantesco seggio, che nella lingua greca  viene espressa come edra.

E’ voce antichissima  di popolazioni che vissero all’alba della storia se non addirittura nella preistoria. Lo stesso suono ed evidentemente la stessa remotissima origine hanno altri nomi, vivi ancora in questa montagna, come Nocria ,Sitria ,Tenetra. Il massiccio comprende oltre il Catria vero e proprio ,il monte Acuto, un gigante di poco inferiore al primo, distante circa tre chilometri dal primo in linea d’aria, e fra i due una sella, non molto più bassa. A sud un’altra gigantesca propaggine torreggiante, strettamente collegata col sistema Catria-Acuto, chiamata il Corno del Catria . Da questo compatto sistema montuoso si dipartono propaggini di varie altezze, ma tutte sopra o intorno ai mille metri. Sono: il monte Valcanale a nord verso Frontone, il monte Morcia a nord ovest verso Acquaviva, il monte Tenetra sopra Cantiano; ancora a nord-ovest di quest’ultimo, verso Cagli, il monte Petrano, isolato tra due fiumi e quasi a sé stante; a levante, infine, il monte di Sitria e il monte della Strega, verso Sassoferrato.

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Panorama di Badia di Santa Maria di Sitria

Badia di Si

di Santa Maria di Sitria

Il massiccio è delimitato da valli strette e profondissime, in certi punti veri tagli nella viva roccia, che hanno il nome di gole ( dal latino faux), solcate da piccoli fiumi: il Bosso e il Burano , tributari del Candigliano, il fiume del Furlo; poi il Sentino ,  il Cesano e lo Screbbia.

Se si vuole designare i limiti del massiccio del Catria dai maggiori centri abitati che lo circondano, diremo che esso può essere rinchiuso da un triangolo con i vertici a Cagli, Sassoferrato, Scheggia.

Attualmente il massiccio mostra, sopra i millequattrocento metri,  vette spoglie e riarse. Nei versanti sud-ovest,  i fianchi e le pendici sono coperti di prati e  declivi sassosi con poche zone boscose. Negli altri versanti è rigogliosa la macchia mediterranea, ridotta nell’ultimo secolo a fustaia e a ceduo, con quasi tutte le specie di vegetazione rappresentate ,in base alle varie altitudini : querce, lecci, cerri, carpini , ,frassini ,avellani in basso, faggi in alto. Dove la selva si interrompe si hanno distese di prati pianeggianti  e “ i ranchi” , scoscesi. Poi dirupi rocciosi, impervi, addirittura strapiombanti e precipitosi in parete, detti” balze”.

AbbaziaSitria

Abside dell’Abbazia

Mille anni fa, quando quarantenne vi giunse il ravennate Romualdo, che percorreva instancabilmente tutta l’Italia centrale, fondando eremi e riformando monasteri ,questa montagna era tutta un forteto, dove un bosco impenetrabile cresceva rigoglioso fra trochi giganteschi all’ombra indotta da altissimi alberi. Una vegetazione vergine e prorompente, sotto la quale cresceva una vita animale altrettanto esuberante, che incuteva uno smarrimento indefinito. Costituiva ciò che gli antichi chiamavano terrore pànico , e che personificavano dandogli l’aspetto di demone o di satiro dalla sensualità animalesca ed insaziabile .Ai margini del forteto tenebroso, lo smalto lucente dei prati: un mare di luce, un tappeto fiorito e opulento di fieni odorosi, talora esteso per decine di ettari.

Un massiccio percorso da una fauna ricchissima, dove signori indiscussi della montagna ,feroci, irrequieti ,perpetuamente affamati, aggressivi specie d’inverno con la neve, velocissimi ed instancabili, forando la selva, erano i lupi.

Romualdo giunse a San Vincenzo al Furlo, celebre abbazia fondata nel VI secolo, quando popolazioni umbre vennero a rifugiarsi entro il potente sistema fortificato bizantino, arroccato intorno all’impenetrabile valico. E’  la porta di una regione che  diventa la sua prediletta e nella quale trascorrerà gran parte degli anni che gli restano. Il territorio del Catria è per lui prefigurazione della Gerusalemme celeste, del paradiso, adatta all’ascesi ed alla contemplazione. Da quando vi era stato la prima volta, aveva istituito nuove fondazioni, raggruppando  celle sparse già esistenti, vincolando gli eremiti alla sede prescelta, e mettendoli sotto un priore. Con  amorosa dedizione si applicò a quella riforma, raccogliendo in nuovi gruppi i solitari, fondando eremi e cenobi. Si può dire che non ci fu alcuna delle immense convalli selvose di questo massiccio che non ebbe il suo eremo. Bastava che vi si trovassero le elementari condizioni di vita e soprattutto l’acqua.

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Interno dell’Abbazia

La più celebre di quelle fondazioni fu Sitria, che il santo scelse a sua dimora per sottoporsi a penitenze durissime .A fianco del torrente Artino, precipitoso e spumeggiante, e presso un’abbondante polla d’acqua sorgiva, Romualdo fondò un cenobio dedicato a Maria. Le celle erano sparse nei dintorni e specialmente nel pendio sopra il cenobio. In quel luogo egli stette recluso in cella per oltre sette anni, osservando assoluto silenzio, il periodo di penitenza e di contemplazione più lungo e spiritualmente fecondo della sua vita .In silenzio assoluto e in preghiera continua vedeva dal finestrino della sua cella soltanto il volto di chi gli portava il cibo e  un rettangolo di cielo, con il crinale della montagna e  l’ombra della selva che mutava colore con le stagioni. Qui imparò ad apprezzare , dai fratelli più umili e sprovveduti ,la sapienza di colui che non sa, la ricchezza di chi non ha mai posseduto, la semplicità che rende come fanciulli , forma prediletta da Cristo. Qui compì i prodigi che san Pier Damiano ci  racconta in forma poetica .Da qui i demoni , le larve crudeli o subdole che insidiano l’anima ’umano, fuggirono sconfitti dalle preghiere e si rifugiarono urlando nelle cupe selve della valle soprastante, cosparsa di antri e anfratti, dove vigilavano se mai in quella fortezza di santità si aprisse un varco. Del resto, dietro Sitria, tutto il monte della Strega, col nome sinistro derivatogli forse dal profilo spigoloso, pullula di leggende diaboliche che risalgono a molti secoli indietro .

Certo è che L’amore di San Romualdo per Sitria trova un riscontro soltanto in quello che San Pier Damiano proverà per Fonte Avellana. In questa predilezione ebbe sicuramente una certa parte anche il nome, che aveva lo stesso suono di quello di Nitria, il monte e la valle desertica presso il delta del Nilo, dove era sbocciato più alto e più puro il fiore dell’eremitismo d’Oriente. Le reminiscenze provocate dal suono, per noi puramente casuali, per gli uomini del Medioevo, formati col metodo della memoria totale, avevano grande importanza. La valle che incombe sopra la badia di Sitria si chiama ancora Val  Lucaia. Gli eremiti credevano che in quel bosco oscurissimo(lucus a non lucendo) si annidassero i demoni esorcizzati dalle loro preghiere.

Certo è che lassù, nella stretta valle dell’Artino, sulla quale incombono da ogni parte dirupi e selve, Romualdo aveva trovato la configurazione perfetta per lo sviluppo dell’ascesi eremitica. Lontano un’ora di cammino dal più vicino borgo, lontanissimo-quasi una giornata di cammino- dai centri abitati più importanti, senza strade, assolutamente irraggiungibile nei mesi invernali, quando metri di neve lo seppellivano, in quel luogo  anche la fama di santità, che ormai si era diffusa per tutta l’Europa, poteva difficilmente inquietare Romualdo e i suoi compagni.

Uomini provenienti da ogni parte del continente si orientavano verso la luce che si irradiava da Sitria, ma non tutti avevano la possibilità di raggiungerla, meno degli altri l’imperatore  e i suoi messi, cui gli affari politici non lascavano il tempo per quel lungo e disagiato pellegrinaggio. Ciò nonostante, intorno alla cella dove il Santo pregava ininterrottamente il Signore e si martoriava con il digiuno e le flagellazioni, sicuro di intervenire così sulla storia e sul destino degli uomini nella sola maniera efficace, si raccoglievano sempre nuovi adepti di tutte le estrazioni sociali, anche contadini e pastori, che si ritenevano privilegiati porsi al servizio di un luogo così sacro.

Così dopo un decennio dalla fondazione, Romualdo, raggiunto anche a Sitria dalla devozione e dalla popolarità, affidò eremo e cenobio ad un superiore, e se ne partì alla vota, seppure a malincuore, di Biforco e poi verso le fondazioni del monte Amiata e di Camaldoli. Ma prima chiese all’imperatore Enrico II che sancisse, con un suo documento solenne ,la subordinazione del cenobio all’eremo, là dove, come Sitria e in varie fondazioni del Catria, le due forme fossero entrambe presenti. Morì in Val di Castro circa l’anno 1027.Le sue spoglie sono custodite nella chiesa di s. Biagio a Fabriano, dove fino a pochi anni fa c’era una piccola comunità camaldolese.

Anche a Sitria non è facile distinguere, nella costruzione giunta fino a noi, gli elementi originari da quelli aggiunti negli ampliamenti successivi, i quali a loro volta hanno subìto, a più riprese ,radicali restauri.

La pianta della chiesa è un ampliamento di quella del secolo XI con varie aggiunte. La facciata e l’abside sono  completamente rifatte , almeno nella parte superiore. L’altare del secolo XII, rimasto intatto fino al secolo scorso con la sua grande mensa di pietra che posava sopra otto colonnine con capitelli a foglie stilizzate, è stato sottratto dopo l’avvento della strada.

L’importanza di Sitria, il più celebre eremo ai tempi di san Romualdo, fu presto oscurata dallo splendore raggiunto da Fonte Avellana. Fu soltanto il ricordo della predilezione del Santo per quest’eremo e la venerazione che di conseguenza ebbero per esso s. Pier Damiano e  la congregazione che da lui ebbe origine , a salvare l’eremo stesso dalla decadenza alla quale si avviarono rapidamente le altre fondazioni romualdine della montagna.  Sitria rimase legata a Fonte Avellana, partecipe della sua vita fiorente. Il sentiero ancora esistente, che, attraverso Nocria, congiunge i due eremi, fu uno dei più battiti dagli eremiti della montagna, anche perché Sitria era anche  un passaggio obbligato per scendere nella valle del Sentino, dove sorgeva un altro eremo celebre ,s. Emiliano in Congiùntoli. In ricordo di questo antico legame i monaci  percorrono in preghiera questo sentiero il 19 giugno, giorno  in cui cade la festa del fondatore dei camaldolesi.

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