Uno spaccato della società civile

di Maurizio Fiorilli

Ringrazio gli organizzatori di questo forum in primo luogo per averlo indetto in un momento di totale disinteresse per la tutela internazionale del patrimonio culturale italiano e quindi per l’invito a parteciparvi.

Il titolo del forum mi consente di esaminare criticamente la vicenda della statua, che costituisce uno spaccato della nostra società civile.

Mi auguro che la riflessione sul passato ci consenta di superare gli ostacoli che già si presentano per il ritorno della statua a Fano.

Ostacoli dovuti al disinteresse diffuso in larghi settori della comunità civile alla tutela del nostro patrimonio culturale e al disinteresse della politica alle iniziative di tutela internazionale del nostro patrimonio culturale.

I fatti. La statua si è impigliata nella rete da pesca del motopeschereccio “Ferri” in un punto non verificato del mare Adriatico ed introdotta nel porto di Fano senza denuncia alla Dogana, occultata nel territorio fanese e, quindi, commercializzata clandestinamente da cittadini italiani.

Se i pescatori che hanno tratto dal mare la statua avessero agito con consapevolezza del loro interesse e se coloro che sono stati in contatto con la statua avessero avuto un minimo di senso civico la statua sarebbe stata qui a Fano e tutta la comunità ne avrebbe tratto vantaggio.

La indicazione del punto mare nelle acque territoriali del pescaggio della statua avrebbe consentito di ritenere il relitto come bene archeologico appartenente ex lege al patrimonio indisponibile dello Stato e i pescatori avrebbero avuto diritto al premio di rinvenimento.

L’ammontare di detto premio di rinvenimento, data la importanza del reperto avrebbe remunerato i pescatori in misura non inferiore a quanto percepito dalla vendita clandestina.

Nel caso di rinvenimento in acque extra-territoriali, il relitto sarebbe stato considerato di proprietà dei pescatori e, quindi, avrebbe dovuto essere presentato alla Dogana per il rilascio di un certificato di temporanea importazione che avrebbe consentito la sua vendita all’estero senza il pericolo dell’esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero.

La mancata presentazione alla Dogana è significativa della consapevolezza che la statua aveva un valore culturale e, quindi, che il suo ritrovamento nelle acque territoriali italiane comportava la appartenenza del relitto al patrimonio culturale italiano ed il diritto al solo premio di rinvenimento.

L’esito del procedimento penale per ricettazione a carico dei primi acquirenti della statua, è, a mio giudizio, espressione di carenza di apprezzamento del valore costituzionale della tutela del patrimonio culturale nazionale da parte della amministrazione dei beni culturali e dei Collegi giudicanti.

In questa fase deve, invero, mettersi in evidenza : a) la mancata attivazione della Soprintendenza competente, che non si è costituita come parte civile nel processo; b) l’interferenza interessata nelle indagini di polizia giudiziaria; c) un approccio puramente formalistico delle Corti giudicanti alla valutazione della fattispecie in esame; d) la connivenza di alcuni cittadini, ivi compreso un sacerdote.

Da cittadini non possiamo esimerci dal rilevare che la vicenda è un chiaro esempio del colpevole disinteresse della comunità per la cultura e della colpevole inerzia della amministrazione per il corretto esercizio dei propri compiti istituzionali e, se è vero – come risulterebbe dalle successive indagini dei carabinieri – che gli imputati sono stati avvertiti della programmata perquisizione domiciliare in loro danno dei Carabinieri, della infedeltà di un ufficiale di polizia.

Nel solco dei procedimenti penali promossi dalla Procura della Repubblica di Roma e dei negoziati aperti con i musei americani per la restituzione di beni archeologici scavati nel territorio italiano ed esportati clandestinamente e commercializzati all’estero, su iniziativa della associazione Le Cento Città per il tramite di Alberto Berardi la questione della esportazione illecita della statua denominata “ L’atleta vittorioso “ opera dello scultore Lisippo è stata riproposta alla magistratura di Pesaro e la comunità si è mobilitata.

La larga partecipazione a questo forum e la presenza dei giornalisti fanno sperare che non cesserà la pressione dell’opinione pubblica perché la vicenda della statua non cada nel dimenticatoio ed i rappresentanti eletti si facciano carico di rappresentare le aspettative di questa comunità.

Innanzi al Tribunale di Pesaro nel contraddittorio delle parti la vicenda del rinvenimento della statua e della sua esportazione illecita ha potuto essere esaminata e valutata in conformità alla disciplina normativa del patrimonio culturale italiano.

E’ da sottolineare che la disciplina di tutela del patrimonio culturale italiano ha anticipato la normativa internazionale di settore ed è ad essa conforme.

La fase di merito si è conclusa con la ordinanza 3 maggio 2012 che ha confermato la confisca della statua . La ordinanza , oggetto del ricorso in Cassazione , ha ritenuto: a) che non sussiste dubbio sulla natura di bene archeologico appartenente al patrimonio culturale italiano del bene oggetto di esportazione clandestina;b) che il bene culturale non era di proprietà degli imputati al momento della esportazione illecita; c) che il J.Paul Getty Museum non ha consolidato il proprio diritto di proprietà sulla statua. Invero, quanto ai diritti del possessore o titolare del bene illegalmente esportato, la Corte costituzionale con sentenza 14 gennaio 1987 n. 2 e la successiva legge n. 88 del 1988 hanno fissato la regola di tutela che esclude la confisca nella solo ipotesi che la persona che detiene la cosa da confiscare “ non sia l’autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto“. L’interpretazione del concetto di “ terzo estraneo al reato “ quale fissata dalla Corte di cassazione con riferimento ai limiti dell’articolo 178 del decreto legislativo n42 del 2004 comporta che per il bene intrinsecamente non commerciabile la proprietà non è accessibile dai privati neppure in ipotesi di acquisto in “ buona fede”. In ogni caso, nella condotta dei titolari del museo americano non può ravvisarsi alcuna buona fede, essendo emerso con chiarezza che l’acquisto è stato effettuato nonostante i dubbi sulla liceità dell’esportazione manifestati da JPG senior ; nonostante l’assenza di documentazione doganale relativa allo ingresso e alla uscita dal Brasile (indicato dai venditori al J.P.G Museum come luogo di acquisto della statua dai venditori italiani assolti dal reato di ricettazione ), all’ingresso in Inghilterra o in Germania; nonostante la mancata indicazione della provenienza storica della statua nella documentazione doganale di ingresso in USA; nonostante la omissione dello interpello alle Autorità italiane circa la appartenenza del relitto al patrimonio culturale italiano nel periodo di garanzia previsto nel contratto di acquisto. La circostanza che il pagamento del corrispettivo era stato fissato alla scadenza del termine di garanzia della validità del titolo di proprietà del venditore dimostra che l’interesse del J.P.G. allo acquisto era “ad ogni costo”, posto che il JPG era a conoscenza della circostanza che la statua acquistata era quella pescata dai pescatori fanesi già oggetto del procedimento penale pere ricettazione a carico dei primi acquirenti della statua, danti causa dei venditori.

La Corte di Cassazione con ordinanza 4 giugno 2014 ha sollevato questione incidentale di costituzionalità in relazioni agli articoli 111, comma 1 ( “ La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”) e 117, comma 1 ( “ La potestà legislativa è esercitata dallo Stato, dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’oirdinamento comunitario e dagli obblighi internazionali “) della Costituzione degli articoli 666,667, comma 4, e 676 codice di procedura penale nella parte in cui non consentono che la parte possa richiedere al giudice della esecuzione lo svolgimento della udienza in forma pubblica.

In punto di fatto, rilevo che la mancata presenza dei giornalisti alla spontanee dichiarazioni del rappresentante del J.Paul Getty Trust ha giovato all’ente culturale nord-americano, in quanto le dichiarazioni rese hanno confermato la consapevolezza di avere acquistato un bene culturale archeologico italiano di provenienza illecita, e ciò contrariamente a quanto sempre affermato dal Trust che non vi era identità tra il relitto pescato e quello acquistato, e che si erano disattese le prescrizioni del fondatore in merito alle condizioni dello acquisto, avvenuto immediatamente dopo la sua morte per iniziativa del direttore del dipartimento antichità del Museo J.P.G sodale di uno dei più importanti mercanti di beni archeologici italiani di provenienza illecita, presso il quale aveva preso dimora in Sicilia dopo la sua cacciata dal Museo.

A mio parere la Corte di Cassazione ha sollevato la questione incidentale di legittimità costituzionale della norma unicamente perché si faceva questione della legittimità del provvedimento di confisca della statua ai sensi dell’articolo 174 del decreto legislativo n.42 del 2004 e in data immediatamente antecedente alla udienza di esame del ricorso proposto dal J.Paul Getty Trust la stessa sezione aveva sollevato un questione incidentale di costituzionalità dello istituto della confisca in un ricorso nel quale era in discussione la legittimità di un provvedimento di confisca dei terreni oggetto di una lottizzazione non autorizzata in un procedimento penale conclusosi con la assoluzione degli imputati.

Invero, la giurisprudenza della Corte CEDU ha chiarito che il principio per cui il processo deve essere aperto al pubblico e ai mezzi di informazione, desumibile dall’articolo 6 CEDU, non ha una portata generale e onnicomprensiva, anche per quanto concerne i processi penali, e che può essere escluso quando il giudizio abbia ad oggetto questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo.

Nella decisione 4 marzo 2014 (causa Grande Stevens e altri c. Italia ) la Corte CEDU , richiamando la propria giurisprudenza, ha ritenuto che il rigetto della richiesta di udienza pubblica fosse contrario all’articolo 6 in quanto il giudizio riguardava misure sanzionatorie (a carattere repressivo e dissuasivo) e che dette misure potessero avere un carattere infamante per le persone interessate.

La Corte Costituzionale, con sentenza n.135/2004, in conformità alla giurisprudenza della Corte CEDU, ha ribadito che la pubblicità delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta , che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo così a realizzare l’equo processo e sia costituzionalmente garantita nei soli casi nei quali il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto , definitivo e sostanziale su un bene primario dell’individuo, costituzionalmente tutelato, quale la libertà personale.

Nella fattispecie nella quale si è pronunciato il provvedimento di confisca non era in discussione né la libertà personale del detentore del bene, estraneo al processo, né la sua onorabilità.

La confisca non costituisce, nell’ordinamento italiano, un istituto unitario e univoco.

Le disposizioni del codice penale e delle leggi speciali disegnano un ampio ventaglio di tipologie di confisca che hanno come elemento comune l’effetto di spossessamento del bene nei confronti del possessore o detentore.

A fronte di questo unico elemento comune, i vari tipi di confisca si differenziano profondamente nel presupposto, nella ragione fondante e nella finalità perseguita.

La confisca dei beni culturali esportati illecitamente di cui all’articolo 174 del codice dei beni culturali risponde a una finalità esclusivamente recuperatoria di una res extra commercio che non può essere sottratta al patrimonio culturale italiano ne può uscire dal territorio nazionale e dal dominio che lo Stato esercita su di essa.

Secondo la volontà del legislatore, una volta accertata la circostanza di fatto della illecita esportazione del bene culturale, la confisca è obbligatoria dovendo necessariamente essere ripristinato il patrimonio culturale italiano.

La finalità recuperatoria prescinde dall’adozione di un provvedimento punitivo nei confronti dell’autore dell’esportazione illecita, avendo l’ordinamento interesse, prima che a sanzionare il vero (o comunque a prescindere dalla sua condanna penale), a recuperare il bene e riportarlo nel territorio italiano sotto il dominio dello Stato.

La confisca di cui all’articolo 174 non ha dunque natura di sanzione penale, ma è una misura meramente recuperatori la cui adozione è affidata dal legislatore al giudice penale.

La previsione della confisca obbligatoria da parte del giudice penale nel caso di esportazione illecita di un bene culturale è lo strumento più idoneo per il recupero all’estero del bene e il ripristino del patrimonio culturale della collettività; e si tratta certamente dello strumento più idoneo a recuperare il bene culturale, dal momento che è messo con un provvedimento giurisdizionale la cui esecuzione, in forza delle convenzioni internazionali in materia, può essere richiesta più agevolmente alle autorità dello Stato in cui il bene è stato abusivamente esportato.

Il compito affidato al giudice penale, chiamato a decidere sulla richiesta di confisca, è solo quello di verificare se il bene archeologico è di proprietà dello Stato italiano, in quanto proveniente dal territorio nazionale ed essendo stato rinvenuto in data successiva all’entrata in vigore della legge n. 364/1909, in forza della quale tutti reperti archeologici rinvenuti in Italia sono di proprietà dello Stato.

Il giudizio, nel quale né il JPG né i suoi rappresentanti erano in alcun modo destinatari di imputazioni penali, né di richieste sanzionatorie o restrittive della libertà personale, ha avuto ad oggetto la verifica della opponibilità civilistica dell’acquisto del JPG all’Italia.

La non opponibilità dell’acquisto all’Italia è stata riconosciuta in quanto secondo il diritto degli Stati nei quali la statua è transitata i detentori della stessa non ne avevano acquisito la proprietà e quindi non potevano trasferirla.

Tanto, sulla base della documentazione prodotta in giudizio e delle dichiarazioni rese dallo stesso rappresentante del J.P.G Trust.

Si trattava, all’evidenza, di una questione civilistica, nella quale non era in evidenza alcuna misura repressiva o sanzionatorie o infamante per l’onore o la reputazione del destinatario della richiesta di confisca, tale da richiedere una verifica da parte degli organi di stampa della trasparenza dell’operato dei giudici.

Il giudizio non coinvolgeva inoltre questioni altamente tecniche e complesse (la legislazione interna sul possesso in buona fede dei Paesi in cui la statua è circolata, la regolarità delle bolle doganali dei Paesi in cui è stata di volta in volta esportata e importata) che, tutte, potevano essere esaminate sulla base della documentazione in atti, e ciò rende irrilevante la circostanza, valorizzata dall’ordinanza di dimensione, della rilevanza mediatica che ha avuto la vicenda.

Data la natura civilistica della controversia (il giudizio non avrebbe avuto oggetto istruttoria diversa se si fosse svolto davanti al giudice civile) la presenza come parte del Ministero dei beni dell’attività culturali non comportava alcun dubbio di credibilità dei giudici, tenuto conto che in ogni caso è stata garantita la presenza in udienza delle parti e dei rispettivi difensori, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti di difesa.

In definitiva, la complessità e tecnicità della questione controversia tutta fondata su elementi documentari scientifici, l’assenza di misure repressive o sanzionatorie, il carattere civilistico della confisca, giustificavano pienamente che l’udienza venisse svolta in camera di consiglio.

Ritengo che il motivo di censura svolto dalla difesa del J.P.G Trust poteva essere respinto attraverso una interpretazione conforme a Costituzione e alla Carta dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa delle norme processuali sottoposte a valutazione di legittimità costituzionale.

Cosa accadrà se la Corte Costituzionale riterrà fondata la questione di legittimità costituzionale? La questione dovrà essere riesaminata da un diverso giudice di primo grado e la sua decisione sarà soggetta a riesame in sede di eventuale opposizione e, quindi, a nuovo giudizio di Cassazione.

Se la Corte Costituzionale ritenesse che la confisca sia un istituto giuridico unitario e, quindi, non valesse la qualificazione della confisca culturale come provvedimento recuperatorio, sarà necessario proporre azione di rivendica nella quale assumeranno rilievo concludente in fatto la documentazione raccolta in sede di istruttoria innanzi al GIP di Pesaro – che prova la assenza di due diligence nello acquisto – e la dichiarazione spontanea resa dal rappresentante del J.P.G e in diritto la legge italiana.

Il diritto italiano qualifica il bene archeologico rinvenuto dopo l’anno 1907 come cosa non soggetta al diritto di proprietà in quanto appartenente in via esclusiva allo Stato. Tale qualificazione della cosa che ha la propria fonte diretta nella legge deve essere riconosciuta da tutti i giudici degli Stati aderenti   alla Convenzione UNESCO del 1970. La azione di rivendica dovrà avere, pertanto, esito positivo.

Quand’anche il giudice di Los Angeles ritenesse inapplicabile la legge italiana, disattendendo la giurisprudenza consolidata in tema di furto di beni classificati come “fuori commercio” dalla legge dello Stato rivendicante, ed applicabile la legge dello Stato della California, dovrebbe interpretarla secondo la Convenzione UNESCO del 1970 e dovrebbe concludere per il mancato consolidamento del diritto di proprietà del J.P.G sulla statua per carenza della richiesta due diligence nello acquisto e per violazione delle norme federali sulla importazione.

Concludendo, l’arresto della ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità relativa al procedimento in Camera di Consiglio e dello istituto della confisca può solo allungare i tempi per la restituzione a Fano della statua.

La conferma della volontà del Comune di Fano di apprestare da subito una sede espositiva della statua che ne consenta la piena, sicura valorizzazione consentirà di evitare che al momento del rientro nasca un problema sulla sua collocazione.

Infine, la disponibilità della Regione a contribuire alle spese per un eventuale giudizio negli Stati Uniti , che mi auguro sarà all’occorrenza confermato, nonché le iniziative delle associazioni di cittadini di raccolta fondi, consentiranno di assumere tutte le iniziative per assicurare il rientro della statua in Italia e la sua ricontestualizzazione a Fano.

Share This:

Posted in Lisippo.