Alberto Giorgi o dell’armonia asimmetrica

di Graziano Ripanti

 Come quando agemina l’oro e l’argento, un artista
esperto, che Efesto e Pallade Atena istruiscono
in tutte le arti, compie lavori pieni di grazia.
( Omero, Odissea, tr. It. Di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino, 2014, VI, 235 ss. ) (1)

Senza essere un critico d’arte ma solo un appassionato che ha seguito quasi tutte le sue forme e il loro lungo evolversi nella storia, dall’architettura alla scultura, pittura, incisione, musica, poesia, ancora soggiogato dalla tradizione non ho mai considerato l’arte orafa e la storia dei gioielli, che ha avuto origine con l’origine dell’uomo, come una autentica forma d’arte. Con l’opera di Alberto Giorgi mi sono liberato – lo devo confessare – da quella insufficiente e inadeguata distinzione tra arte maggiore e arte minore, che in verità era già stata smentita almeno dal Rinascimento, dove pittori e scultori compivano il loro apprendistato anche presso botteghe di orafi per apprendere abilità tecnica e raffinatezza esecutiva. Artisti come Lorenzo Ghiberti, Filippo Brunelleschi, Donatello, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Antonio Pollaiolo, Albrecht Dūrer provenivano da esperienze di oreficeria (2). Gli interscambi di arte e gioielleria erano molteplici: pittori come Piero della Francesca e Botticelli amavano ornare i loro personaggi con sfere di cristallo collane, pendagli e fermagli dell’epoca : tra questi, come si sa, il più famoso era Benvenuto Cellini, orafo e scultore.

Alberto Giorgi

Alberto Giorgi

Alberto Giorgi non solo mi ha risvegliato dal sonno della tradizione, mi ha anche suggerito lo schema di questa relazione, che, come già è accaduto circa l’inadeguatezza della distinzione tra arte maggiore e arte minore, approfondirò con una lettura ermeneutica il suo scritto : Pensieri sul mio lavoro (3), dove la prima affermazione dice : « I miei lavori sono ricerche parallele alle arti cosiddette maggiori » , affermazione che sottace, da una parte, la polemica con quella tradizionale distinzione e, dall’altra, è una perentoria dichiarazione di autonomia del proprio impegno artistico :

« Il mio interesse è di fare arte » , evitando di imitare stili, metodi, tecniche altrui e affidandosi alla personale « creatività visionistica, calda, dell’enfasi ornamentale ». La rivendicazione della propria autonomia coinvolge anche l’ambito espressivo. Fin dove giunge questa autonomia ? Credo che anche Alberto sapesse che dal nulla non viene nulla e, infatti, si dichiara discepolo di Edgardo Mannucci orafo e scultore che ha diretto l’Istituto d’arte Apolloni di Fano, formando eccellenti studenti (4).

Ciò che ora vorrei approfondire è “ l’enfasi ornamentale “ dell’ultima frase citata : qui è in gioco il concetto di ornamento, che fin dai primordi, caratterizza il gioiello nella sua funzione tipica di porre in evidenza la bellezza di un corpo che oggi sembra escludere altre funzioni come quelle pubbliche e istituzionali. Da una fase puramente simbolica si giunge a una funzione in senso stretto, totemico, sacrale, talismanico, politico e economico.

Che cos’è un ornamento, un’aggiunta all’opera stessa o qualcosa a sé e perciò anch’esso è arte ? la risposta a questa domanda ci riconduce alla domanda essenziale : che cos’è un’opera d’arte ? Al di là dell’estetica del gusto ( 1700 – 1800 ) o di quella del genio, Heidegger incentra il legame o il rapporto tra arte e essere, rapporto che definisce l’arte come una « messa – in – opera della verità » ( ins–setzen der Wahrheit ) (5). H.G. Gadamer, che parte da questa definizione, esplicita il rapporto tra arte e essere in questo modo : « La presenzialità peculiare dell’opera d’arte è originariamente un venire – alla – rappresentazione dell’essere » ( ein Zur-Darstellung–Kommen des Seins ) (6). « Il venire– alla – rappresentazione » non dipende dal soggetto, autore o interprete, ma è precisamente un evento o accadimento ( Ereignis ). Su questa ontologia dell’opera d’arte il venire – alla – rappresentazione è esplicitato da Gadamer con la categoria del “gioco“ ( der Spiel ) nel suo triplice rappresentare. Il gioco è prima di tutto autorappresentazione, è un andare – venire in base a regole tanto che il gioco gioca i giocatori; secondo fa pervenire i giocatori alla loro autorappresentazione e, infine, è una rappresentazione per qualcuno , che fa parte dell’essenza del gioco come totalità compiuta: si gioca sempre per qualcuno, nel gioco scenico il “ qualcuno “ è indispensabile. In questo triplice movimento avviene la trasmutazione in forma del reale, che appare diverso da ciò che è : « il mondo dell’opera d’arte in cui un gioco si esprime pienamente nella unità del suo svolgimento, è in realtà un mondo totalmente e radicalmente trasformato » (7).

Questa estetica gadameriana come trasformazione e accrescimento dell’essere delle cose, coincidente con alcune affermazioni di Giorgi, comprende anche le cosiddette arti decorative o ornamentali. Anche queste forme d’arte sono leggibili all’interno dell’ontologia dell’opera d’arte per cui queste forme rappresentano un aumento dell’essere. Una villa del Palladio nel verde paesaggio veneto, dalla quale anche Goethe era preso da una profonda ammirazione, è un vero e proprio accrescimento – e non una rovina – dell’essere e del paesaggio. Così anche la decorazione di spazi costruiti è un vero arricchimento dell’essere di quello spazio.

Nello scritto di A. Giorgi c’è questa frase : « La bellezza di un oggetto è incrementata dall’amore e dalla magia con cui è progettato e dall’anima che vive nascosta in esso » . Qui Alberto parla dell’incremento e dei suoi elementi essenziali, quello che per Gadamer è : « ogni esecuzione è un evento, ma non un evento che si contrapponga o si aggiunga a come qualcosa di autonomo all’opera; è l’opera stessa che, nell’evento dell’esecuzione, accade [ … ] e fa venire in luce ciò che in essa è contenuto » (8). Cosa fa venire in luce l’opera di A. Giorgi ? Questa domanda è fondamentale. Nello scritto preso in considerazione l’artista mette in evidenza la contraddizione donde hanno origine la sua poetica e la sua opera. Egli afferma : « Ad un progetto funzionale e razionale preferisco, contraddizione, ironia e simboli inconsci che si basano sull’esaltazione dei comportamenti individuali e non di massa » : dichiarazione ricca di indicazioni. Alla funzionalità e razionalità oppone l’ironia e simboli inconsci, l’esaltazione dell’inconscio individuale contro la massificazione e la mercificazione, che legittima e permette all’artista l’unicità delle sue opere. L’ironia, legata al concetto di gioco, conferisce all’opera un significato opposto e diverso dal comune modo di vedere, che però permette di intravedere la realtà amara e a volte dolorosa. In filosofia, per S. Kierkegaard, l’ironia è il sentimento del contrasto tra la coscienza esaltata dell’Io e la modestia delle sue manifestazione esterne.

Nell’ambito estetico – è Kant il primo a parlarne – il simbolo costituisce il mezzo per comunicare non solo i concetti ma anche le sensazioni. A differenza dell’immagine il simbolo non è un semplice rimandare ad altro come il segno, non ha funzione indicativa, ma solo un’efficacia rappresentativa : realizza nel sensibile l’evidenza di ciò che sensibile non è. Successivamente, sempre nell’ambito dell’estetica romantica il simbolo assume una posizione di eccellenza che, come è noto, J.W. Benjamin giudicherà negativamente. Per Goethe il simbolo è la capacità di esprimere l’universale attraverso una configurazione intuitiva, allusiva e suggestiva dell’individuale. Nel solco dell’estetica romantica si inserisce anche F.W.I. Schelling che dichiara il simbolo come il vero unum, cioè una sintesi tra universale e particolare, unità realizzata perfettamente nel mito greco e nell’estetica : il simbolo è opera d’arte. Questa vasta estensione del simbolo e del simbolico sarà contestata anche da G.W.F. Hegel.

Al di là di questo lungo dibattito storico sul simbolo, che qui non è il caso di ripercorrere, è ora di domandarci : qual è la caratteristica per la quale siamo affascinati dall’opera d’arte di Alberto Giorgi ? Molti studiosi d’arte del gioiello (9) si sono espressi sulla genialità e grandezza dell’autore le cui opere sono presenti in molti musei italiani ed esteri. Oltre la raffinata tecnica e la lettura di testi a lui dedicati, cosa mi ha meravigliato e attratto del suo mondo, dove i gioielli sono sculture, circondato da atmosfere astrali e terrene, la sua gioia di vivere e di lavorare? Ciò che ho visto pieno di meraviglia è quasi una specie di paradosso : in tutte le sue opere domina l’armonia che fin dalla tradizione greca implica la corrispondenza perfetta tra parte destra e parte sinistra, ma nelle opere di Giorgi questa perfetta corrispondenza non c’è. Ma non c’è neanche una disarmonia tra le varie parti. La sua armonia va distinta da quella tradizionale : è allora un’ « armonia asimmetrica ». La si può constatare soprattutto in certe collane dove la mancanza di simmetria non nega l’armonia, che è perfetta anche asimmetricamente.

Non so se questa mia interpretazione del testo di Alberto Giorgi sia convincente. A conclusione di questa analisi sono perfettamente d’accordo sia sull’opera che sull’uomo, da me purtroppo non conosciuto, con quanto ha scritto l’artista Alba Dolci : sull’opera ella afferma : « Perché i gioielli di mio marito sono sempre attuali ? E il filosofo mi rispose : “ Perchè vi regna il pensiero dell’uomo ” » (10 ). Il filosofo non sono io, ma condivido l’affermazione. Sulla personalità d’artista di Alberto, Alba scrive: « Lo splendore immortale della manualità dell’uomo » (11).

Note :

  1. Il verbo “ ageminare “ significa : intarsio policromo di lamine o fili d’oro e d’argento su un altro metallo.
  2. Anderson J. Black, Storia dei gioielli, a cura di F. Sborgi, Odoya, Bologna 2011, pp. 132 ss.
  3. Questo scritto di Giorgi è compreso nel volume monografico : Alberto Giorgi, che contiene bellissime riproduzioni fotografiche di vari fotografi e curato da Dolci Alba anche lei artista e moglie di Giorgi. Arti grafiche Stibu, Urbania 1999, p. 9.
  4. AA.VV., L’oro di Fano. E. Mannucci e la scuola orafa di Fano, a cura di F. Milesi, ed. Grapho, Fano 1997.
  5. Heidegger, Sentieri interrotti, tr. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia Firenze 1968, p. 63
  6. G. Gadamer Hermeneutik I. Wahrheit und Methode, J. C. B. Mohr, Tűbingen 1986. Tr. It. G. Vattimo Milano 2000, p. 317.
  7. Ibidem, p. 249
  8. Ibidem, 317
  9. Cfr. Solmi, Alberto Giorgi, Grafis Ed. d’Arte, Bologna 1974
  10. Alba Dolci, Solo per un attimo, Fano 2012, p. 5.
  11. Ibidem, 65.

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